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Numero 10



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                                           Media
nte scrittura 


Cosa succede quando un nuovo media si affaccia all'orizzonte e modifica l'uso del linguaggio? Cosa accade ai codici linguistici? In realtà si "rimediano", come affermano Bolter e Gusin nel loro libro
Remediation, in cui affrontano il tema dell'integrazione fra vecchi e nuovi mezzi di comunicazione. 
Un'inchiesta fra letteratura e linguistica che affronta la questione - molto dibattuta - delle dinamiche narrative fra passato e futuro... 

di Simona Taborro 

Sempre più spesso ci si interroga sullo stato di salute della nostra scrittura, intesa sia come capacità di utilizzare un codice linguistico sia come la nostra letteratura.
Ci si interroga con toni allarmati, a tratti apocalittici, si individuano dei nemici, in particolare la televisione e i nuovi media, insomma si dispera. Eppure, ad uno sguardo neanche troppo approfondito, la scrittura appare più trionfante che mai. 

Ragazzi che non usano pensarsi come scriventi fanno uso ed abuso degli sms, persone che non terrebbero un diario “segreto”, ogni giorno si raccontano nei blog; giovani passano ore “parlando/scrivendo” in chat, e via dicendo.
Ma non basta. Uno sguardo rapido alle pile di “novità” nelle librerie megastore ed ecco che i titoli sono tantissimi, gli autori anche. 

Insomma sia intendendo la scrittura come scrizione (uso il termine così come lo intende Barthes in Variazioni sulla scrittura, cioè nel senso di atto manuale di lasciare segni) sia come letteratura, mi sembra che l’allarmismo sia eccessivo.
Ci si potrebbe domandare il perchè, o, meglio, a cosa si riferiscano coloro che vedono una mancanza di scrittura nella nostra società.
La risposta che mi do, personale e suscettibile di smentite, è che la scrittura abbia perso la sua purezza, sia caduta dalla torre d’avorio in cui si è cercato di chiuderla per riversarsi nuovamente nelle strade (fisiche e virtuali) della vita: invece di intentare una lotta senza frontiere nei confronti degli altri media, che essa stessa ha influito a creare e definire, ha raccolto la sfida dei suoi figli e si è rimediata.
Si è rimediata. Ecco un concetto, quello della rimediazione, su cui occorre fermarsi un momento. Il termine è stato coniata da Bolter e Gusin per definire il tipo di processo che si innesca con l’avvento di un nuovo media. Tradizionalmente si immagina che l’avvento di un nuovo media avvenga dal nulla e al nulla porti tutto ciò che lo precedeva. L’attenta analisi svolta in Remediation [Bolter/Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e Associati, Milano, 2003] indica, invece, che il nuovo si costruisce sulle basi di ciò che lo precede, dopodiché il vecchio si riposiziona, si ristruttura, nei confronti nel nuovo sistema mediatico e di relazioni che si è venuto a creare. 

Facciamo un esempio: l’avvento della televisione. Il vecchio, in questo caso, è rappresentato dal cinema, è infatti da questo che maggiormente si attinge per pensare la programmazione televisiva. In breve tempo i cinegiornali spariscono, lasciando così il ruolo informativo a un medium più rapido come la televisione, ma questa “perdita” viene rimpiazzata con una maggiore attenzione a ciò che è più proprio del cinema così come lo conosciamo e cioè attenzione al film e al luogo, luogo di aggregazione e di incontro. 

Il cinema non è sparito, ha perso delle funzioni che non gli si addicevano (ricordiamo che i tempi di distribuzione nelle varie sale sono molto più lunghi rispetto ad una messa in onda televisiva) e si è riposizionato all’interno di un sistema più vasto. 

Torniamo ora alla scrittura. Come giustamente nota Abruzzese, in Analfabeti di tutto il mondo uniamoci [Costa & Nolan, Genova, 1996], cinema e televisione hanno attinto a piene mani sia dai temi dei libri – basti pensare a tutte le riproposizioni cinematografiche o televisive di romanzi – sia dalle strategie narrative usate dagli scrittori – è difficile non notare, ad esempio, in alcuni passaggi di Dickens un linguaggio filmico ante litteram. Ed è proprio questa “invasione” di campo che fa tremare coloro che prevedono la morte della scrittura. Eppure il flusso all’interno del sistema non si è fermato a questo primo momento. Molti autori cominciano a sentirsi più liberi, nascono le avanguardie di primo Novecento, poi le neoavanguardie degli anni Sessanta e Settanta. La scrittura cerca e sperimenta nuove potenzialità, intrattiene ancora, così come deve essere per seguire lo spirito del romanzo, ma gioca con le parole. 

Ci avviamo così, a lunghi passi, verso le scritture contemporanee.
Già a partire dagli anni Novanta una serie di scrittori emergenti iniziarono a trarre i loro linguaggi dai mass media che in quel momento andavano per la maggiore: la musica e la televisione. Non che prima di quegli anni nessuno l’avesse fatto, ma erano fenomeni sporadici: tanto per ricordare un paio di nomi del panorama italiano, Calvino e Tondelli. Un’attenta disamina degli scrittori esordienti di fine millennio è proposta dalla Mondello in In principio fu Tondelli. Letteratura, merci, televisione nella narrativa degli anni novanta [Il Saggiatore, Milano, 2007]; gli autori presi in considerazione sono: Ammaniti, Ballestra, Brizzi, Caliceti, Campo, Culicchia, Galliazzo, Nova, Santacroce, Scarpa, Vinci. Pur nella loro diversità e senza voler ad ogni costo rintracciare un canone comune, l’autrice nota una costante attenzione, nelle loro scritture, verso tutti gli oggetti di consumo, siano essi marche di vestiario o trasmissioni televisive. 

Questi oggetti, divenuti parte integrante del vissuto, divengono i mezzi per costruire la propria identità, personale e di gruppo, e proprio perchè parte integrante della quotidianità, non ci si può raccontare escludendoli dal proprio orizzonte. 

Ecco che il mondo dei mass media comincia ad essere prepotentemente presente, non solo come tema (cioè come contenuto: si racconta di un personaggio o di una visione) ma anche come serbatoio di linguaggi e di simboli. Siamo, in Italia, nel momento di massima espansione delle televisioni commerciali. Intere generazioni crescono avendo un bagaglio linguistico e culturale simile, ci si “riconosce” anche senza aver condiviso uno stesso ambiente fisico. Il ragazzo di provincia e il ragazzo di città, pur mantenendo degli elementi di diversità, hanno un immaginario condiviso. Lo scarto tra i narratori degli anni Ottanta e quello degli anni Novanta è forte, pensiamo alle differenze tra Treno di Panna di De Carlo e Branchie di Ammaniti, ma con gli scrittori del Duemila le cose cambieranno nuovamente. 

Una nuova “rivoluzione” si afferma nel sistema mediatico, è il momento dei personal media, della scrittura digitale, di Internet. All’idea di media personali gli anni ottanta e novanta avevano già abituato le giovani generazioni, walkman e console portatili per videogiochi sono parte integrante di quella generazione. 

Come in ogni discorso, più ci si avvicina al presente e più diviene difficile avere una visione d’insieme; difficile in queste poche battute prendere in considerazioni tutte le sfaccettature. Da qui in poi le mie saranno semplici osservazioni di una lettrice. Nella varietà di scritture di oggi un elemento mi sembra emergere: i media non vengono più messi in scena come oggetti da “analizzare”, ma come parte integrante della quotidianità. Ecco quindi squilli di cellulari, sms, e-mail entrare nelle pagine dei libri cartacei, senza scandalo e senza il desiderio di provocarlo, senza che l’autore senta la necessità di prendere posizione nei confronti di questi nuovi mezzi, di comunicazione ma anche di scrittura. Mentre la generazione degli esordienti degli anni Novanta era per lo più giovane, dirompente e sbatteva in faccia al lettore i suoi gusti, le sue musiche, i suoi linguaggi, in modo fortemente ermetico e provocante, quasi a volerli affermare, le scritture di oggi non si presentano più come “per iniziai”, sono più pacate. 

Il computer e internet non hanno spaventato la scrittura (intesa qui nei due sensi di cui parlavo all’inizio). Non è raro trovare autori che “testino” i loro scritti in rete, raccontandoli, pubblicandone delle parti nei loro blog. Parlano con i loro lettori, da sempre impliciti e silenziosi nelle pagine dei libri, ma che ora hanno la parola. Lettori che divengono anche scriventi, che parlano negli spazi di rete delle loro letture e dei loro modi di leggere. Così anche la lettura si fa scrizione: da sempre volatile, si fa liquida, lasciando una traccia visibile, scritta. 

In questo nuovo orizzonte lo strappo generazionale creato dagli scrittori degli anni Novanta si rimargina: rincontriamo, tanto per rifarci ad un autore già citato, un De Carlo che con il suo Pura vita parla un linguaggio giovane, a suo agio con i nuovi media.
Ma è soprattutto il ritmo ad essere cambiato. La scrittura si è fatta leggera – ma non banale –, come la differenza che passa tra il pigiare i tasti di una macchina da scrivere manuale e quelli di un pc.