Le mie cose




 




Faccia a faccia con Raffaella Malaguti. Comodamente seduta davanti ad un caffè l’autrice ci parla del suo libro, di cosa l’ha spinta a scriverlo e di come vive “le sue cose”. 

di Lucia Greci 



Le mestruazioni un tabù? “No, soltanto una questione di bon ton”. “Il problema sta nel come se ne parla”, come fossero “un ostacolo all’essere una vera femmina”.

Tutto è cominciato durante una conversazione sul sangue. A un certo punto della chiacchierata gli interlocutori, due uomini curiosi e “moderni” al punto da non formalizzarsi davanti a certi discorsi, hanno posto una serie di domande sulle mestruazioni alle quali Raffaella Malaguti proprio non sapeva rispondere. Gli interrogativi, sul genere “chi ha inventato il tampone?”, non trovarono risposta: “Ah ma come – hanno allora incalzato provocatoriamente i due vedendo che la nostra autrice non sapeva cosa dire  – le hai una volta al mese e non lo sai?

Era il  2000, lei faceva già la giornalista, e forse in virtù di quella curiosità che non si sarebbe mai estinta fin quando non avesse gettato luce sulla questione; o forse perchè l’idea di non conoscere a fondo qualcosa che la riguardava in quanto donna, proprio non le andava giù, si è messa a indagare sul tema: prima a tempo perso, poi con più frequenza. E proprio la passione per la ricerca, l’ha portata inizialmente a scrivere, per ‘Alias’ del Manifesto, un articolo molto lungo sulla “storia sociale delle mestruazioni”, e in un secondo momento ad approfondire il discorso con la stesura di un libro. “Non avevo conoscenze nell’ambito editoriale – ha detto la Malaguti – ma fui fortunata a trovare un editor abbastanza matto da non sbattermi il telefono in faccia quando lo chiamai con una proposta del genere”. Quell’editor, che allora lavorava per la Bruno Mondadori , “non solo mi ascoltò ma si ricordava anche dell’articolo!”.

 

In effetti, le colonne che la Malaguti scrisse per ‘Alias’ furono un successone: gente che chiamava in redazione, scopiazzamenti su altre testate. Ma al di là delle innegabili doti giornalistiche dell’autrice, che con questo saggio solleva non senza un’arguta ironia la coltre di imbarazzo che praticamente da sempre copre le mestruazioni, l’articolo e l’idea di scrivere un libro furono un trionfo soprattutto perché fino ad ora in Italia un libro così – vera propria analisi del ‘fenomeno’ dal punto di vista storico e sociale – non era mai stato scritto. A voler esser più precisi, soltanto negli anni ’70, durante il movimento femminista, si cominciò a studiare la storia delle mestruazioni ma tutto ciò che venne prodotto non furono che “saggi di nicchia sulla storia del corpo femminile e praticamente introvabili”, ha confermato l’autrice.

E nonostante in America e in Inghilterra siano stati scritti (ma mai tradotti) alcuni libri sull’argomento (tra cui uno intitolato “Storia culturale delle mestruazioni” della fine degli anni ’70, e un altro, americano, del ‘99 che però si occupa più dell’industria degli assorbenti), in letteratura il tema ‘mestruazioni’ è rimasto confinato a qualche trattato sul funzionamento del corpo della donna, ad articoli in cui si parla di ciclo mestruale solo come patologia (amenorrea; dismenorrea), al fenomeno biologico legato alla fertilità o ad antiche dicerie.

 

In cinque curiosi capitoli, questo saggio svela “chicche” storiche ora interessanti e divertenti; ora estremamente impensabili e agghiaccianti. A sentirsi domandare ad esempio se c’è ancora qualcuno che ancora crede che toccare una pianta durante il ciclo mestruale sia in grado di bruciarla, l’autrice ha detto che “sembra impossibile ma sì. C’è, ed è anche più di qualcuno… magari non che pensi si possa arrivare a bruciare una pianta, ma che faccia appassire i fiori, sì! Il problema, ma è anche quello che affascina, è come anche con una totale mancanza di prove, una tale convinzione possa aver resistito per millenni”.

Nel saggio della Malaguti emerge tra le altre cose come l’argomento mestruazioni sia (in passato come oggi) oltremodo contegnoso (si vedano gli usi di simpatiche perifrasi – dai più miti avere “il marchese” o “i fiori”, all’essere nei “giorni critici” al più contemporaneo avere “le brigate rosse” – per non dire ‘mestruazioni’) se non addirittura tabù: “Non nel senso antropologico del termine – tende a precisare l’autrice – e poi è un tabù differente perché in qualche modo se ne parla. Il vero problema è di ‘come’ se ne parla, ossia, come se fosse un ostacolo all’essere una vera femmina. Uno sguardo attento alla pubblicità (di oggi e di ieri) denota una tendenza a voler comunicare che le mestruazioni sono qualcosa di cui tu non devi far accorgere gli altri, che hai tutti i mezzi per far si che gli altri non se ne accorgano e che, se se ne accorgono è solo colpa tua. Il messaggio per stare fresca, serena, felice in mezzo agli altri è che nessuno deve capire che hai le mestruazioni. Perchè? Perché la bella donna non si fa beccare ad avere mal di pancia e ad avere la riga dell’assorbente che si intravede dal pantalone. Dunque, è più che altro un tabù igienista, una questione di ‘bon ton’”.

 

Dalla ricostruzione storico-sociale del fenomeno, alla pubblicità degli assorbenti. Più di una volta, l’autrice cita nel volume lo spot “Nuvenia”, una curiosa pubblicità degli anni ’90 in cui la protagonista, una coraggiosa “pseudo-wonderwoman” incurante di dolori e dell’inevitabile disagio che si prova in ‘quei giorni’, si getta da un aereo con il paracadute. Per la Malaguti, che non nasconde di odiarla, questa pubblicità è il “capostipite” di quegli spot che esagerano nel comunicare che “quando hai le mestruazioni, non solo devi essere uguale a tutti gli altri giorni ma in più devi strafare: giocare a pallavolo sulla spiaggia e metterti i pantaloni bianchi… senza contare tra l’altro – ha ironizzato – che nessuna donna sana di mente metterebbe i pantaloni bianchi in quei giorni. Ma nonostante tutto – ha sottolineato ancora - ho sentito di gente che di diceva ‘forse non ha torto’ perché tutto sommato va un po’ contro il mito di stampo ottocentesco della ‘donna borghese sempre malata, sempre svenevole, sempre inferma e nevrotica’”.

 

Svenevole o iperattiva, nevrotica o meno: ogni donna vive “le sue cose” in maniera soggettiva. Fatto sta che Raffaella le considera “un fenomeno biologico molto positivo” perchè “ti costringe ad avere un contatto con il tuo corpo, e tanto più ce l’hai tanto meglio è. Vero è che prima durante e dopo, ogni donna diventa un po’ più sensibile, io personalmente divento soltanto un po’ malinconica ma per me, che faccio un lavoro creativo è importante anche sentirmi in un certo modo e la malinconia che mi da, in fin dei conti, è a suo modo una malinconia creativa”.