Un esploratore dell'anima


L'autore di
Un altro giro di giostra scuote la coscienza e il cuore dell'Occidente stanco. Escursione sulla sua vita e sulla sua morte, in cerca di quegli spazi che lo sottraggono alla retorica comune che affligge la sua immagine oggi...

di Gloria Sabatini


“Mio marito non è un monaco”. Ha ragione, la signora Terzani. 
E fa bene a ripeterlo adesso che la vita del giornalista-esploratore è diventata
una soap opera (una paccottiglia aneddotica che non gli  farebbe piacere), adesso che fiumi di inchiostro hanno costretto la sua straordinaria esperienza in una formula commerciale redditizia. Fa bene a dirlo, Angela Staude, ora che  ha deciso di ritirarsi a vita privata, di rifugiarsi nel buen retiro dell’anima. 

Lo scrittore, innamorato dei viaggi, pronto a succhiare tutto il midollo della vita, morto di cancro nella sua Firenze due anni fa, non è un asceta, non è un guru della post-modernità che mescola come in un frullatore impazzito  pratiche zen, consigli new age, antica sapienza e moderne diavolerie paramediche. E non è – dispiace dirlo – neppure uno dei tanti scrittori impegnati, colti e sensibili ai conflitti che stanno sconquassando il pianeta. Una bandiera postuma del pacifismo terzomondista? Ma quando mai.

"Questo è ciò che posso consigliare agli altri: cambiare vita per cambiare se stessi…I libri sacri, i maestri, le religioni servono, ma come servono gli ascensori che ci portano su... L’ultimo pezzo del cammino, quella scaletta che conduce al tetto del mondo, quell’ultimo pezzo va fatto a piedi da soli...Vivo ora qui con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente mai ci succede per caso, che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è un altro giro di giostra”. E’ lui stesso a dircelo, a dispetto del  fenomeno mediatico scoppiato intorno alla sua morte come una marea montante che rischia di travolgere il significato profondo delle sue parole. Del suo “viaggio nel male e nel bene del nostro tempo”.

Il senso del limite da superare  come un moderno Ulisse,  quello dell’apparenza, della fisicità di un corpo malato ma ancora potente, dei confini geografici, dell’ipocrisia globalizzata. Un limite che va indagato, sorvegliato, tenuto d’occhio mescolato al piacere, quasi primordiale, dell’osservazione e del dialogo. Ogni fatterello, ogni storia raccontata dai monaci zen o dai saggi indù è un’occasione di conversione laica, mentre l’osservazione della natura, gli uccelli, i conigli, le nuvole, gli dà un’invidiabile pace, una solarità contagiosa, il sentimento della melodia. E’ il mistero dell’apparizione della vita, un’epifania che si rinnova ogni giorno, cambia forma, cambia linguaggio ma resta intatta la sua straordinaria pienezza. “Onestamente, Folco, questo mondo è una meraviglia – dice al figlio nel libro uscito postumo per Longanesi La fine è il mio inizio - non c’è niente da fare, è una meraviglia. E se riesci a sentirti parte di questa meraviglia, ma non tu, con i tuoi due occhi e i tuoi due piedi; se Tu, questa essenza di te, sente d’essere parte di questa meraviglia,  ma che vuoi di più, che vuoi di più? Una macchina nuova?”.


Ecco, il viaggio è la chiave di volta che tiene in piedi l’edificio. Non solo come metafora di una personalissima e coinvolgente iniziazione, ma come una scoperta continua alimentata dalla curiosità e dalla solida struttura di occidentale che non smarrisce mai – anche quando lo desidererebbe – la sua identità. 
L’annullamento del passato, della vita precedente,  non è mai completo, non è mai totale, perché non può esserlo, perché tutti siamo quello che abbiamo mangiato, le persone che abbiamo frequentato, le strade che abbiamo percorso, i bar dove ci siamo seduti. Il viaggio, però, è reso unico dall’esperienza della malattia e del dolore che cambiano radicalmente la prospettiva, che diventano una rinascita, uno spartiacque. Dopo la notizia del cancro per Tiziano Terzani nulla sarà più come prima.
  

“Mi parve che tutta la mia vita fosse stata come una giostra, fin dall’inizio m’era toccato il cavallo bianco e su quello avevo girato e dondolato a mio piacimento senza che mai, mai qualcuno fosse venuto a chiedermi se avevo il biglietto. No. Davvero il biglietto non  ce l’avevo. Tutta la vita avevo viaggiato a ufo! Bene, ora passa il controllore, pagavo il dovuto e, se mi andava bene, magari… riuscivo anche a fare un altro giro di giostra”.
La malattia non è una iattura, non è la fine a cui abbandonarsi con autocompiacimento, non è un porto sicuro cui rifugiarsi con il calore degli affetti e la solidarietà di amici e familiari. E’ il tagliando che la vita ti chiede per aver vissuto gratis, un controllo a cui sottoporsi con coraggio (e Terzani ne ha da vendere), ognuno a suo modo.

 Appresa la sentenza della sua malattia, l’ex-inviato in giro per il mondo a “fotografare” i grandi avvenimenti della terra riprende le valigie e parte. Prima prova con la medicina tradizionale a New York: per uno strano gioco del destino ad accoglierlo come una madre generosa è proprio la Grande Mela,  simbolo di quell’America che non ama  (“a New York è sempre tempo di svendite”) e che nostalgia per i caffé di Firenze dove la colazione è un piccolo rito e non una brodaglia marrone da trangugiare su bicchieri di plastica mentre si cammina correndo al lavoro. Si affida alla medicina tradizionale, si fa operare, si fa ricucire, si concede alla chemioterapia (il principio è semplice, “è come bombardare col napalm una giungla e distruggere migliaia di alberi per cercare di uccidere una scimmia appollaiata su una palma”, dice all’infermiera intenta a preparare il cocktail anti-cancro). Poi si lascia sedurre da un centro alternativo californiano, ma la magia non dura (tra le pieghe della spiritualità in vendita sente odore di business). Terzani è  curioso, insaziabile. 

Si rivolge all’omeopatia (che cura il malato e non la malattia), ma non gli basta, in fondo non ci crede. Da fiorentino scettico sente tutti i limiti del “salto nel vuoto”, avverte il pericolo dell’irrazionale. Lui, curioso e appassionato testimone del suo tempo, lui che ha assistito alla caduta del muro di Berlino, alla guerra del Vietnam, alla presa di potere dei comunisti a Saigon; lui, arrestato in Cina per “attività controrivoluzionarie”,  riprende a viaggiare, negli stessi luoghi di un tempo, per trovare la sua cura. Barba lunga, fisico appesantito dalla chemio, testa pelata, attraversa  tutta l’Asia. 
Dall’India al Tibet, alle Filippine, dialoga con tutti i maghi, i saggi, i santoni orientali che gli capitano a tiro, prova tutte le medicine alternative, dalle diete alle erbe, ai digiuni, ai canti sacri, alla meditazione yoga, all’ayurvedica, al qi gong, alla pranoterapia. Il viaggio è un’esplorazione interiore intorno alle radici dell’uomo. Un cammino leggero, mai triste. 

Il libro, che si apre con la notizia del cancro e termina con  l’ultimo ritiro ad Orsigna a pochi mesi dalla morte,  non conosce la tristezza, non c’è un rigo di struggente nostalgia che per quello che poteva essere e non è stato. Disincantato e serio, spavaldo e preoccupato, guascone ed eroico, Terzani continua a vivere le sue peregrinazioni col piglio dell’inviato speciale, con l’animo del giovane cronista. 
E la cura diventa solo l’alibi per scavarsi dentro e passare al setaccio le contraddizioni umane: i  millenni di razionalità che sente sulle spalle non gli permettono di lasciarsi cullare da un rimedio alternativo, da qualche versetto della Baghavad Gita, per quanto ben recitato. 

In Oriente non trova la salute del corpo ma la risposta a una scommessa insolente. Tra le nevi dell’Himalaya, nel silenzio assordante della natura, quella pace interiore,  a lungo accarezzata e sempre fino all’ultimo minacciata dalla frenesia della sua natura, diventa più vicina. L’ultimo suo ritiro è a Orsigna, sull’Appennino toscano, là, come gli antichi saggi indiani, Tiziano vive in pace con stesso, ritrova il senso del vivere e del morire. Sempre con l’occhio vigile del cronista, ma stavolta senza affanni, senza fretta. 

Si fa davvero fatica a vederlo,  adesso, conteso nelle hit parade degli autori da best-seller, o intrappolato nell’utopia del pacifismo arcobaleno. Ma questa è un’altra storia.