In nome di quale scienza?



Il caso di Eluana Englaro è ancora inciso nelle nostre coscienze. Ha diviso, opposto, creato simpatie e malumori. Carlo Alberto Defanti è stato il primo neurologo a occuparsi di  questo caso così difficile.
Una paziente che non può non radunare domande sull'esistenza "forzata" come illusione di vita. Lui lo ha fatto, e ce lo racconta

di Giulio Crotti 

Ho conosciuto Nedda Maffei Defanti alcuni anni fa a un corso di scrittura creativa. Siamo stati compagni di banco per caso il primo anno e per scelta nei successivi. Nedda è una brillante conversatrice dalla forte personalità e la sua compagnia non è mai noiosa. Ed è anche la moglie di Carlo Alberto Defanti, primario neurologo emerito all’ospedale Niguarda di Milano, autore fra le altre cose del libro Soglie che Bollate Boringhieri ha pubblicato nel 2007. Ma che soprattutto è stato il neurologo di Eluana Englaro. Mi presento nella loro abitazione a due passi dal centro di Bergamo in leggero ritardo e senza le domande che mi ero preparato, dimenticate sulla scrivania del mio studio. Cominciamo bene…
Mi tocca improvvisare. In questo mi aiuta, probabilmente, il paio di bicchieri di un delizioso Picolit che mi viene offerto e, certamente, l’accattivante vena affabulatoria di Carlo Alberto Defanti, che riescono a rendere l’atmosfera rilassata a dispetto della gravità degli argomenti.

Dr. Defanti, mi sono recentemente imbattuto in un suo scritto a proposito della prima edizione di "Della dignità della morte" del teologo cattolico Hans Küng, il quale a sua volta commentava la sentenza del tribunale federale di Karlsruhe circa la sospensione delle terapie di sostegno vitale qualora la persona stessa vada incontro a situazioni particolarmente gravi e ben definite, come lo stato vegetativo permanente.
Küng ipotizzava una terza via teologicamente e cristianamente responsabile, arrivando ad auspicare un nucleo etico comune (una Weltethos) alle grande religioni ma condivisibile anche da atei e agnostici.
Da quella prima edizione sono trascorsi 14 anni e molte cose sono successe, specialmente in Italia.
Lei è da sempre molto attivo non solo da un punto vista strettamente professionale ma anche per così dire da quello etico, e per questo motivo incontra molte persone e istituzioni in Italia e in Europa.
Ecco, ritiene che siano stati compiuti dei passi in avanti o l'auspicio di Küng rimane una bella utopia?

Kueng ha quest’idea che ci siano delle “famiglie ideali” nel mondo: la cristiano cattolica e protestante, quelle orientali e la famiglia umanista. E che alla base di queste religioni ci sia un nocciolo morale che potrebbe esser lo stesso. Si tratta di riconoscerlo. Nella realtà per quel che riguarda la chiesa cattolica non è stato così, anzi durante tutto il pontificato di Woytila e poi con quello di Ratzinger c’è stata se possibile una marcia indietro, un ritorno a posizioni estremamente rigide tanto che ora la discussione è impossibile. Ormai da qualche anno non c’è discorso del Papa in cui non si parli di difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale. E dietro questo c’è l’idea che non si possa mai interferire e che in nessun caso non si possa fare altro che un tentativo di prolungare questa vita e mai di abbreviarla. E’ anche vero che Kueng lavora ormai all’esterno della chiesa cattolica pur continuando e ritenersi cattolico. Egli esprime ad alta voce quello che altri cattolici pensano, a volte scrivono timidamente ma perlopiù si limitano a raccontare agli amici, per tema di ritorsione. Personalmente ritengo che questo concetto di salvaguardia della vita fino alla morte naturale non sia più sostenibile. La morte naturale non esiste più: la morte di ciascuno di noi, se non è improvvisa, avviene in un contesto medico e sebbene di fatto le nostre possibilità di guarire le malattie siano progredite non poco, è progredita molto di più la possibilità di tenere in vita la gente. E accanto ai risultati buoni, che sono la maggioranza, vi sono quelli cattivi, come il prolungamento dell’agonia. Tra l’altro questa difesa a oltranza della vita biologica senza coscienza non è affatto un punto centrale del messaggio cristiano. E diventata un grido di battaglia della Chiesa di oggi che ha scopi essenzialmente politici e di potere perché in questo modo loro tengono in ostaggio tutta l’Italia e buona parte del parlamento, opposizione inclusa. Quello che è accaduto l’anno scorso lo ha dimostrato in maniera chiara.

… e anche molto triste, una sorta di merce di scambio tra un governo in difficoltà e una chiesa ansiosa di riaffermare la propria autorità morale.
In questo momento la chiesa sta marciando con decisione su questa linea. Il sabotaggio della candidatura della Bonino nel Lazio è stato deliberato e autorevolissimo: non votate per gli abortisti.
Forse è proprio sul concetto di morte naturale e di morte in generale che si dovrebbe riflettere, perché mutevole in fondo. E forse è compito della comunità scientifica formare e informare l’opinione pubblica e renderla meno manipolabile.

Si beh… compito della comunità scientifica non è di formare ma più semplicemente dire le cose come stanno. Il problema è complicato dal fatto che il concetto di morte in realtà non è un concetto scientifico ma essenzialmente filosofico e la scienza di per sé non ci può dire quando subentra la morte se non si è definito prima cosa è che chiamiamo morte. La scienza è in effetti intervenuta in modo estremamente forte sul concetto di morte circa 40 anni fa, al momento in cui propose di definire morti coloro che avevano una lesione con distruzione completa del cervello: la cosiddetta morte cerebrale. Ma a ben guardare quello non fu un avanzamento della scienza. Fu una decisione di autorevoli scienziati finalizzata essenzialmente a scopi pratici: da un lato quello di evitare sforzi inutili e costi insostenibili nel tentare di mantenere vive queste persone irrimediabilmente colpite (e quindi uno scopo diciamo utilitaristico), dall’altro quello di evitare controversie nei riguardi dei trapianti, e questo era lo scopo fondamentale. Non è un caso che la proposta di chiamare morte le persone con distruzione cerebrale ma tenute in vita con le macchine, seguì di sei mesi il primo trapianto di cuore eseguito a Città del capo da Barnard. A questo trapianto ne seguirono altri in America e si creò immediatamente un contenzioso giudiziario perché alcune famiglie dei primi donatori di cuore accusarono i medici di aver espiantato gli organi ai loro cari quando ancora erano vivi. Allora la comunità scientifica propose la soluzione di chiamare morti quelli che avevano si un cuore ancora funzionante ma la cui attività cerebrale fosse definitivamente spenta. Ecco, la scienza è intervenuta con questa decisione che a ben guardare non è un fatto strettamente scientifico. Questa proposta fu fatta da scienziati ma non in quanto tali, bensì in quanto medici che ritenevano utile questo passo. E utile lo fu, questo passo, tanto è vero che ebbe un largo successo prima in America e in Europa e poi nel resto del mondo, con qualche eccezione di alcuni paesi orientali tra cui il Giappone (qui l’idea che una persona possa esser considerata morta quando ancora ha un cuore che batte e respira, sebbene grazie a una macchina, ripugna alla cultura locale).
Passo che fra l’altro e in modo contraddittorio, la Chiesa ha appoggiato. La Chiesa infatti dice oggi che in nessun caso di può abbreviare la vita della gente. Però in questo caso lo si può fare. Ma perché lo si può fare? Perché sono già morti. Cosi il problema etico è risolto in partenza.
Da un altro punto di vista, cioè quello dei soggetti cui sono prelevati gli organi, il chiamarli morti può esser considerata un finzione, una strategia utilitaristica perchè da un punto di vista strettamente biologico sono ancora vivi. Di recente, malgrado il successo di questa mossa degli scienziati appoggiata dalla Chiesa, riflettendo sul concetto di morte e sui criteri adottati da allora, molti studiosi (me compreso) si sono convinti del fatto che probabilmente il miglior concetto di morte è quello tradizionale. Sicché quelli che noi chiamiamo criteri di morte cerebrale sono invece criteri di irreversibilità e di inutilità di qualsivoglia trattamento e dunque di liceità di interrompere la vita delle persone se queste persone si erano espresse in favore della donazione o perlomeno se non si erano espresse in maniera contraria. Questa è una posizione minoritaria ma che sta guadagnando terreno. L’anno scorso il senatore Marino (medico chirurgo di trapianti) ha organizzato un seminario a Pisa con numerosi esperti americani dal quale è uscito un documento che espone in sostanza questa linea. La Chiesa su questo non si sbilancia perché per essa la situazione attuale e accettabile, anche perché il trapianto abbrevia la vita del donatore ma favorisce la vita di un altro e questo viene positivamente visto. Resta però la contraddizione interna tra questa posizione sulla morte cerebrale e la rigidità su altre situazioni. Il punto fondamentale nel processo del morire è stato profondamente alterato dall’intervento della tecnologia medica.
Perché la morte naturale non esiste più.
E i confini tradizionali tra vita e morte sono diventati fluidi e spostabili a piacere e il concetto di morte non ha solo un significato filosofico ma anche uno concreto. E importante anche per ragioni tecniche sapere quando si è morti: per una successione, per un testamento… anche per questo morire dieci minuti prima o poi può fare una gran differenza.. certo non per tutti.
In definitiva penso che la definizione tradizionale di morte vada più che bene. Il problema non è tanto di definire la morte quanto di definire le soglie e i momenti in cui si può lecitamente intervenire, se è il caso di interrompere questo processo.

Ho seguito la sua garbata polemica con la Dr.ssa Morresi, iniziata sulla base di recenti studi che dimostrerebbero la persistenza di funzioni cognitive in alcuni pazienti in stato vegetativo. Nella sua replica Lei dice che questo non risolve affatto il problema morale di come comportarsi nei riguardi di tali pazienti, nel senso che la preoccupa molto l'eventualità che essi possano provare dolore e l'obbligo morale di alleviare il loro dolore.
E proprio per questo auspicava (un po' come Küng) il sorgere di una discussione in seno alla comunità scientifica.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una grossa ripresa di studi scientifici sulla coscienza che avevano un po’ languito nei decenni precedenti. Ha aiutato il perfezionamento delle tecniche diagnostiche, ad esempio la risonanza magnetica funzionale, capace di rivelare e fotografare le aree del cervello attive in momenti successivi e quindi di fornire un’idea dinamica del funzionamento cerebrale. Così si è visto che in alcuni soggetti clinicamente in stato vegetativo si attivavano aree corticali se sottoposte a particolari stimoli. In un caso unico e ben documentato una persona che era in stato vegetativo da 5 anni era in grado di rispondere a delle domande attraverso una codifica che consisteva nell’immaginare delle situazioni prefissate e notoriamente in grado di attivare determinate aree del cervello. Il fatto che il soggetto rappresentasse un caso su 50 e che fosse in realtà non in stato vegetativo ma di minima coscienza non rende il risultato meno importante e soprattutto pone il problema della sofferenza. Si consideri che questi malati sono paralizzati, vengono sottoposti a svariate manipolazioni e ciò avviene normalmente senza troppo timore perchè tanto non soffrono. Se invece soffrissero, anche solo una parte di loro, bisognerebbe riflettere se non vadano trattati con un farmaco antidolore. Ma è questo un punto apertissimo su cui la comunità scientifica deve ancora riflettere.

E pone il non meno delicato quesito sull’interruzione della terapia…

Certamente. I nostri avversari traggono forza da ogni singola descrizione di casi di risveglio. Ma il risveglio trascina con sé indubbiamente questa possibilità della sofferenza ed è molto verosimile che chi si risveglia in questo modo stia peggio di prima. Ma, come detto, c’è chi pensa che qualunque vita vale e va salvaguardata, anche a costo di imporla al malato che ha la disgrazia di ritrovarcisi. Io credo invece che non sia così. Eluana non fece dichiarazione anticipate in maniera esplicita ma la Corte di Cassazione e poi la Corte di appello di Milano hanno emesso quelle sentenze sulla base di una ricostruzione di volontà evidentemente giudicata attendibile. Dunque la più alta magistratura del paese si dimostra molto più avanzata non solo della Chiesa, ma anche della maggior parte dei medici.

E già perché poi ci sono gli aspetti giuridici, che possono variare da stato a stato e spesso sono in ritardo rispetto alle conoscenze mediche.

Sì sì, ma poi la legge non può tener dietro alla scienza. In questo caso però, ripeto, la Cassazione ha scritto una sentenza innovativa, basata su principi costituzionali, che ha sbloccato la situazione. E contro di essa si è scatenato l’inferno che sappiamo.




Già, anzi in quel periodo abbiamo assistito al tentativo (peraltro maldestro come da tradizione) di instaurazione di una sorta di stato etico, hegelianamente parlando, in cui cioè lo stato si pone fine supremo e arbitro assoluto del bene e del male.

Sicuramente. Il buon G. Fini ha avuto il coraggio di dirlo (ride…). In questo momento è il nostro protettore. (si inserisce Nedda: non avrei mai detto di pensare a Fini e dire questo capisce le cose…).
Una destra laica se non secolare non può che esser su questa linea. Ma d’altro canto queste spaccature non sono proprie solo dell’Italia. Penso all’America, ad esempio. Ma lì la separazione fra Chiesa e Stato è molto forte. Forse perché di Chiese ce ne sono parecchie…

Ritiene che il pericolo sia stato scongiurato o solo rimandato?

É stato rimandato. Quella orribile legge votata al Senato sarebbe stata votata anche alla camera se Eluana non avesse avuto il “buon gusto” di morire anticipatamente. Noi pensavamo che sarebbe durata un'altra settimana e quindi… Poi naturalmente è stato insinuato che i medici di Udine avessero accelerato le cose ma l’autopsia ha dimostrato il contrario. E dopo di che l’urgenza è venuta meno.

Come sta B. Englaro?

Lui è stato attaccato nella maniera che tutti hanno visto. Dalla fine dell’anno tutti i procedimenti sono stati archiviati dopo la pubblicazione dell’autopsia. Che ha dimostrato che non c’era stato nessun intervento illecito. Oltretutto l’analisi del cervello ha dimostrato che lesioni erano le stesse che io avevo diagnosticato. Ma questo ovviamente non è stato data nessuna pubblicità (sorride). Ora comunque questa minaccia non c’è più. Lui si è ritrovato definitivamente solo perché anche la moglie è molto malata, ma per fortuna questa sua battaglia gli è valsa numerose simpatie ed è inviato continuamente in giro per l’Italia a parlare in difesa dei diritti civili. E stato più volte anche a Bergamo, siamo stati insieme a tener una lezione agli studenti del Liceo Scientifico Lussana, all’Istituto Polaresco e alla chiesa dei Valdesi qualche mese fa. Ha scritto un secondo libro che racconta la storia… Insomma questa lotta è divenuta la sua ragione di vita.

In effetti, chissà quante persone nelle stesse condizioni di Eluana vengono portate a casa o all’estero a por fine alle loro sofferenze.

Senz’altro. Qualcuno ha avuto la faccia tosta di rimproverare Beppino di non aver agito esattamente in questo modo ma lui, da quella persona integra ed eccezionale che è, ha replicato “io non sono fatto così” e ha voluto che tutto avvenisse alla luce del sole. Purtroppo questa vittoria giudiziaria non ha rappresentato un passo in avanti dal punto di vista politico ma semmai indietro. Ora vedremo cosa succederà.

Già prima risolviamo i problemi del premier poi magari… Non ho più sentito parlare del disegno di legge…

No, no ma è sempre lì. C’è una commissione che la esamina svogliatamente : qualcuno dice che sicuramente entro l’estate vuole si arriverà alla legge. La speranza è che Fini perseveri nel suo rigore su questa cosa. Va detto che la cattiva legge votata al senato addirittura prevede l’obbligo della nutrizione artificiale in tutti i casi, con tutte le conseguenze che si possono immaginare come derivanti da un ulteriore imposizione.




Lei è uno dei fondatori della Consulta di bioetica. Ce ne vuol parlare?

É un’associazione provata milanese che esiste da circa 20 anni, che si differenzia ovviamente dal Comitato nazionale per la bioetica che è invece un istituzione pubblica che dipende dalla Presidenza del consiglio ed è di nomina governativa. Può immaginarne la composizione sebbene qualche laico ci sia. Ma persone come me non saranno mai chiamate a farne parte.
La Consulta invece è un associazione culturale che organizza convegni, pubblica documenti, ha avuto qualche momento in cui è riuscita a esercitare una qualche influenza, negli anni ‘90 con il governo Prodi e il ministro Veronesi. In questo momento il suo prodotto fondamentale è la rivista Bioetica che non si vede molto in giro e ha una tiratura media di 500 copie.

A rischio di autoreferenzialità?

Non direi. Ormai la bioetica è una disciplina accademicamente riconosciuta e in questo modo il pur limitato numero di 3/400 studiosi del paese ha una sua influenza.

C’è ancora poca conoscenza della materia e in particolare attorno ai concetti di morte cerebrale, stato vegetativo….

Beh si, sono anche difficili da spiegare. Da raccontare. Poi naturalmente la Consulta si occupa anche di inizio della vita, di fecondazione assistita. Altro campo in cui la società italiana è in grossa difficoltà per l’intromissione delle gerarchie ecclesiastiche. La gente è costretta ad andare all’estero per poterne usufruire e quindi, sia pure con elevate probabilità di insuccessi, c’è ora un turismo procreativo ad appannaggio delle persone che se lo possono permettere.
Ma anche di questo si parla poco….
E anche con una diversa maggioranza di governo non cambierebbe molto.
La chiesa, i convertiti della ex maggioranza…. La doppia morale, la fortuna della confessione. Vedi il nostro presidente che fa la comunione mentre Piergiorgio Welby non ha potuto avere un funerale.

S’è fatto tardi e Nedda sbadiglia. Carlo Alberto è stanco per i numerosi impegni dei giorni scorsi: le conferenze, il lavoro allo studio, la Scala … Si passa a parlare di musica e della passione per Wagner e di libri, soprattutto antichi mentre facciamo il bis di Picolit. Ha appena finito un nuovo libro che sta proponendo agli editori: la storia dell’eugenetica, nel quale ha tradotto un famigerato libretto degli anni venti sulla distruzione delle vite non degne di essere vissute, considerato talmente paradigmatico di tutte le aberrazioni da non esser mai stato tradotto.
Potrebbe provare alla Mondadori…

Non è che la Mondadori non pubblichi queste cose è solo una questione di target e tirature. Soglie ha venduto poco più di duemila copie…
Quest’ultimo scritto mi è costato un lavoro immane. Ho dovuto trovare testi ottocenteschi. Per fortuna c’è internet…

E si passa a parlare delle fiere dell’antiquariato e dei negozi di libri antichi. Mi raccontano di una libreria di Bergamo (“l’era cartacea”) in cui hanno trovato cose interessanti.

Bisogna avere pazienza, dice Carlo Alberto. Quando si cerca una cosa, prima o poi si finisce per trovarla.