La studiosa di umorismo ebraico di lingua tedesca Salda Landman afferma, in un suo studio sull'umorismo della storiella ebraica, che Israele è un paese witz-los, privo di umorismo. Questa tesi a mio parere è priva di fondamento. Israele è un paese popolato da ebrei molti dei quali provengono dalla diaspora che ha prodotto quel leggendario humour.
A dispetto delle condizioni particolari in cui quello Stato è cresciuto e si è sviluppato, quella diaspora ha riversato le sue esperienze culturali in un nuovo humus e ha fertilizzato il nuovo paese.
Lo Stato d'Israele ha vissuto nei primi venticinque anni della propria esistenza una condizione di permanente belligeranza, circondato da un contesto irriducibilmente ostile. La classe dirigente dei Padri fondatori dell'entità statale ebraica era composta di transfughi della diaspora est e centro-europea: ebrei coscienti e militanti, il cui scopo era unicamente l'edificazione di una patria ebraica dove fare germinare un nuovo tipo di ebreo. Un ebreo antitetico rispetto a quelli della diaspora, inquieti, perseguitati, calunniati, esposti a costante ludibrio, occupati in un ristretto numero di professioni legate soprattutto al commercio, al danaro o alla pura intellettualità, ovvero persi dietro ad un utopico ideale egalitario astratto.

Moni Ovadia, L'ebreo che ride, Einaudi 1998






Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio. [...] presto mi sono accorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e l'agilità scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura c'era un divario che mi costava sempre più sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l'inerzia, l'opacità del mondo: qualità che s'attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle.
Italo Calvino, Lezioni Americane - Leggerezza, Mondadori 2002







L'evoluzionismo è morto, ma i fatti che hanno dato origine al suo mito attendono ancora una spiegazione. Uno di questi è una certa affinità tra l'arte infantile e quella primitiva, affinità che ha suggerito agli incauti la falsa alternativa che questi primitivi non sapessero far di meglio perché erano maldestri come fanciulli, oppure che essi non volessero fare altro perché avevano ancora la mentalità dei fanciulli. Entrambe queste conclusioni sono ovviamente false. Esse si fondano sul tacito assunto che ciò che è facile per noi debba essere stato sempre facile, e mi sembra una acquisizione definitiva dei primi contatti tra la storia dell'arte e la psicologia della percezione il fatto che noi non si abbia più bisogno di crederlo. In realtà, per quanto mi dispiaccia il cattivo uso che a volte si fa di questa psicologia nella sua forma storicistica, confesso di provare una certa nostalgia per l'audacia speculativa di quegli ottimisti dell'Ottocento. Forse lo devo al fatto che ho avuto la fortuna di poter ancora seguire l'insegnamento di quegli spiriti coraggiosi che, tra la fine del secolo scorso e gli inizi di questo, cercarono di risolvere il problema del perché l'arte abbia una storia.
Ernst H. Gombrich, Arte e Illusione, Leonardo Arte 1998

(a cura di F.zac)