Ricordi di emozioni nei deserti 




I deserti sono luoghi magici. Una volta attraversati, non si dimenticano. Anzi, si cercano ancora. Chi li ha conosciuti cerca di trasmettere l'incanto delle dune, delle magiche notti stellate. Sono viaggiatori fortunati, questi, che a volte decidono di fermare nella parola scritta quelle sensazioni...

di Frostwriter 



“Non dovremmo semplicemente “fare” viaggi, dovremmo, piuttosto, con pazienza, lasciare che i viaggi facciano altro di noi”
Rolf Potts 




Il mio primo deserto è in Nevada, Death Valley. Una grande emozione ma lontanissima da “quella” emozione che il Sahara mi provocherà anni dopo. La Death Valley è considerata un deserto, ma per me la presenza del mondo è tanto percepibile da renderla un non deserto. L’America è lì, dietro l’angolo e la distanza che separa Furnace Creek , Bad Water, Zabriskie Point dalle località ai confini della Valley non è sufficiente a farmi sentire davvero nel deserto. Il cartello falsamente minaccioso “Da questo momento stai entrando nella Death Valley”, i serbatoi accuratamente distanziati con l’acqua in caso di motori in ebollizione evocano più un’atmosfera da parco di divertimenti.
E’ bella la Death Valley, bellissima ma mi sentivo comunque in America, guidavo una macchina normale, le indicazioni non lasciavano dubbi, non avevo bisogno di una particolare esperienza, neanche per un millisecondo ho avuto la sensazione di potermi perdere. Sapevo che in fondo alla mia giornata avrei comunque trovato il ristorante con le T-bone steak.
Quel non deserto lascia in ogni caso ricordi incancellabili. Per la prima volta provo la meravigliosa sensazione di essere in un clima asciutto dove il caldo, seppure torrido, non è opprimente. Al contrario è leggerezza. Nel deserto il corpo si trasforma in piuma, come se miracolosamente qualcuno oliasse tutti gli ingranaggi che lo muovono; le giunture, le articolazioni tornano ad essere quelle di quando ero bambina. Il corpo si muove senza alcuna fatica e questa percezione di lievità diventa, nel groviglio dei ricordi, il simbolo a cui ricorro nei momenti di vita in cui l’anima diventa di piombo


Torno nel deserto molti anni dopo, stavolta è il Sahara marocchino al confine con l’Algeria. Le emozioni provate nella Death Valley, suscitate dalla vista di luoghi meravigliosi, diventano puntini nella memoria, e prende invece corpo una diversa emozione: sentire di essere nel deserto. L’arrivo, preceduto dall’attraversamento delle montagne dell’Atlante, non è un’entrata è una fusione che avviene lentamente e ho l’impressione di trovarmi nel deserto non solo perché ci sono andata ma anche perché lui mi ha catturata e tirata lentamente dentro di sé. Quando la strada asfaltata finisce devo cambiare macchina e consegnarmi ad un “uomo blu” del deserto che con la sua jeep si inoltra verso le dune. Non ci sono cartelli, né avvertimenti. Si va su una pista invisibile. Devo affidarmi e fidarmi altrimenti mi perderei, non male come allenamento alla fiducia verso “l’altro”.
Sento che questo è il primo vero deserto della mia vita, qui le sensazioni fisiche sono tutt’uno con quelle emotive. E’ difficile distinguere quello che vedo da quello che provo, sono in uno stato di grande sintonia corpo-mente. Mi alzo alle quattro del mattino per rivedere al rovescio le ombre lunghe del tramonto della sera precedente, sento il freddo della notte, vedo l’arrivo della luce sulle dune. Ogni cosa che faccio in questo deserto scrive il suo racconto dentro di me, lascia il segno del silenzio, dell’assenza, della difficoltà. Mi sento come non mi sono mai sentita, sapevo che il deserto mi avrebbe regalato molto ma non avrei immaginato così tanto. Prometto a me stessa che tornerò presto.

Mantengo la promessa due anni dopo con un giro nel Sahara egiziano al confine con la Libia. E’ un viaggio pieno, denso. Così pieno che difficilmente riesco a far entrare nell’anima tutto quello che vedo e provo, c’è ancora un sacco di roba sull’uscio che aspetta di trovare un posto, è un viaggio che chiede lavoro anche molto tempo dopo il ritorno.
Non esito a definirlo il viaggio più bello della mia vita. Giorni e giorni di deserto, centinaia di chilometri tra dune, paesaggi pietrificati, laghi salati. Qualcuno pensa che l’attraversamento nel deserto con la sua monotonia di paesaggio possa essere noioso, su di me ha invece un effetto benefico. Sento il vuoto che mi passa attraverso portando via il superfluo e lasciando spazio. In questo viaggio l’anima si svuota e sebbene ovvi disagi e difficoltà il vuoto lavora su di me come un terapia miracolosa. La sensazione di fluidità che nella Death Valley era solo fisica qui si estende anche ai pensieri che sembrano fluire più facilmente, la mente è sgombra e acquista una nuova ed inaspettata agilità.
Questo deserto dà una nuova dimensione al silenzio. Siamo abituati a considerare il silenzio un vuoto insostenibile che deve essere riempito. Qui invece ha una sua pienezza , una sua solidità, non c’è spazio per introdurre altro. E’ un silenzio che aiuta a togliere anziché a mettere, è una liberazione. Torno pensando che siamo mal-educati verso il silenzio e che dovremmo rieducarci a considerarlo un elemento di nutrimento. Il silenzio non è solo assenza di rumore, è il luogo dove l’anima vive.

Infine il recentissimo deserto di Lawrence d’Arabia in Giordania. L’occhio si perde meno, la vista è interrotta da alture rocciose con nomi suggestivi “i sette pilastri della saggezza”, “il fungo”. Le alture sono simili ai castelli che facevo da bambina sul bagnasciuga lasciando scolare tra le dita unita la sabbia bagnata che si rapprendeva in tante piccole guglie. Vedo quelle mie piccole e debolissime costruzioni che la prima onda leggera abbatteva, trasformate in enormi, solide rocce. L’aspetto più sorprendente di questo deserto è la sfilata di colori della terra, dalla sabbia dorata alla terra rossa ad un lastrico bianco duro come il marmo. E qui trovo un nuovo filo, il deserto è fatto di dettagli, allena a distinguere i particolari e invoglia ad una visione più attenta e riflessiva . Di nuovo penso alla nostra mal-educazione, ci accontentiamo di sintesi grossolane, di riassunti e perdiamo irrimediabilmente il fascino dell’unicità, del piccolo.

Ora aspetto un nuovo deserto, per qualche tempo ancora mi basterà il desiderio, ma so che poi tornerò. Un viaggio nel deserto è una grande risorsa che matura i suoi frutti con lentezza ma in un crescendo costante, una lente di ingrandimento che regala chiarezze mai viste. Tantissime le cose che ogni volta mi stupiscono, il tempo che scorre a velocità sempre diverse, i tagli di luce, le solitudini, le forme, i silenzi e ad ogni ritorno mi resta sempre una nostalgia infinita che si sazia di ricordi e dell’immaginare un nuovo viaggio.