Editoriale
Il sogno 

di Francesca Pacini


Il sogno viaggia dentro e fuori di noi. Ci appartiene, ci “segna”, traccia la strada che fatalmente percorreremo.
Il sogno è crogiuolo, groviglio, dedalo di sfumature, crocicchio di illusioni e fantasmi, desideri e speranze. È proteiforme come i colori della notte stessa, quella che per prima ci insegnò, da bambini, a valicare la frontiera diurna penetrando i giardini segreti. 

Ma cos’è, esattamente, il sogno? Per l’uomo antico era la chiave di accesso alla trascendenza, l’oracolo notturno che arrivava da mondi lontani e avvisava, suggeriva, a volte taceva. In un mondo in cui tutto era sacro, il sogno era faccenda di dèi. Erano loro a inviare messaggi più o meno ermetici, a suggellare la veglia sulle umane questioni che da lassù, da quei cieli abitati, apparivano nel nitore di una trama precisa, tessuta da mani invisibili. Il sogno apparteneva a chiunque, alla strega e al sacerdote, al patrizio e al plebeo, al vecchio e al bambino.
Di sogni profetici è costellata ogni storia, sacra o laica che sia.
E se mentre Giacobbe sogna gli angeli vanno e vengono dal cielo, quando l’incubo notturno squassa la mente ogni deformazione luciferina arriva, con un brivido, a farci visita.

Eppure il sogno non è una realtà univoca. È ambiguo come ambigua è la vita dietro le apparenze della “ragione”.

Il sogno incanta, inganna, mescola, confonde. O chiarisce, certo. Dipende da sorti a noi impenetrabili.

Di certo nell’era moderna è Freud a ritrovarne il senso smarrito. Il progresso dei lumi, le sorti “magnifiche e progressive” lo avevano relegato nello spazio un po’ stravagante delle questioni “irrazionali”; svuotato del sacro di cui era parte, il sogno rimaneva appeso in una notte che non si faceva troppe domande.

Freud arrivò. E ne recuperò l’importanza. Ne indicò i simboli moderni che affiancarono gli antichi arcani.

Il sogno, dicevo, non è mai razionale né univoco. Ha tante direzioni possibili, collude o confligge con i nostri pensieri, ci precede o ci accompagna, si insegue di notte ma si insinua nel giorno, colorando la realtà attraverso una sottile invadenza che negli “occhi aperti” fa ritrovare la strada delle fughe notturne.


Ogni sogno è importante. Non ci sono sogni “maggiori” o “minori”. La partitura della musica onirica compie ogni giro e conosce ogni chiave. E se è vero che i sogni profondi ci restano addosso, è anche vero che i piccoli, “insignificanti” sogni in cui svuotiamo i residui diurni ci aiutano a integrare le esperienze che viviamo e che abbiamo vissuto.

Alcuni sogni sono “di razza”, sì. Ma anche i “meticci” hanno la loro importanza.

E di giorno, a occhi aperti, tutti continuiamo a sognare.
Sogniamo un mondo migliore, evadiamo dalle grotte del quotidiano per volare liberi, in alto, sollevati dall’ansia della materia.

Eppure se il sogno ci invade troppo diventa prigione. Perché la realtà è qui, adesso. Non ha vie di fughe, non offre scampo. Si accade, pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno.

Per calibrare sogno e realtà ci vuole un buon ago nella nostra bilancia.
Se l’uomo ha sempre esplorato i territori del sogno per dar vita a ogni slancio creativo, è anche vero che a volte nei sogni si è perso per sempre.

Entrare e uscire dal sogno richiede talento, sforzo e misura.

Per questo dobbiamo muoverci con molta prudenza da svegli.
E lasciarci invece sprofondare, di notte, nei luoghi impossibili abitati da ogni possibilità.