Il telaio universale



Valerio Evangelisti con La luce di Orione conferma la sua vocazione per i romanzi storico-fantastici che però presentano anche una summa filosofica che li sottrae alla mera invenzione collocandoli in un piano affascinante che seduce il lettore con il suo puzzle. Tutto è connesso, l'universo funziona per affinità in un intreccio di relazioni e intersezioni che approdano al di là dello spazio e del tempo. 

di Stefano Petruccioli

Il nuovo capitolo della saga di Valerio Evangelisti (cominciata nel 1994) dedicata alle avventure di Nicholas Eymerich, inquisitore, è un testo davvero interessante, sia in sé, sia per la sua relazione con gli altri romanzi della serie.
Da una parte, infatti, La luce di Orione (Mondadori, Milano, 2007) ha una trama avvincente, che raggiunge quasi l’apice della produzione di Evangelisti, rappresentato – secondo l’opinione di chi scrive – da Mater Terribilis (Mondadori, Milano, 2002). Dall’altra, inoltre, il libro sembra contenere e illustrare una sorta di summa della filosofia che sostiene e governa il mondo storico-fantastico in cui vive l’inquisitore domenicano.

Quello creato da Evangelisti in questa saga è un universo senza spazio e senza tempo o, meglio, in cui lo spazio non è "una sorta di contenitore di oggetti separati" (La luce di Orione, p. 92) ma, anzi, "una cosa unica, in cui ogni atto ha conseguenze altrove" (ivi) e oltre i secoli, perché anche il tempo non scorre ma coesiste.
Ecco che, allora, in qualche modo si giustifica – se mai ce ne fosse bisogno – il “genere” di questi romanzi: una commistione tra letteratura storica e fantascienza, un fantasy ambientato non in una realtà senza tempo ma in più tempi, passati, presenti e futuri rispetto al lettore. Alle vicende di Eymerich se ne alternano e intrecciano altre relative sempre ad un passato storico (ad esempio le vicende di Giovanna d’Arco), a eventi del nostro presente (ad esempio la guerra nel Golfo), a situazioni e realtà futuribili, poiché forze distanti sul piano geografico e temporale scatenano connessioni, corrispondenze. 

L’inquisitore, consapevole di ciò, conscio di trovarsi sempre "al centro di una trama in cui ogni filo [è] collegato all’altro, secondo regole ancora misteriose" (ibid., p. 87) e di poter quindi operare fuori del tempo, gioca su una scacchiera immensa la sua partita, organizza delle strategie ampie per compiere la sua missione, che poi è quella di "cancellare i colori del verme" (Id., Venom (epilogo), in Metallo urlante, Einaudi, Torino, 1998, p. 232), cioè far vedere una farfalla per quello che realmente è, "un verme con le ali" (ivi) la cui "bellezza apparente cela un corpo ripugnante. Come accade con le eresie" (ivi). 

"Quando entrano in ballo questioni vitali per la fede cristiana, un suo agente può fare di tutto" (La luce di Orione, p. 56); vista la posta in gioco, non si può essere deboli, facili alla lacrima e al perdono, comprensivi: il male, lucifero, i demoni, i giganti esistono – "non si può essere cristiani e non credere ai giganti: sarebbe bestemmia" (ibid., p. 41) – e vanno combattuti con tutte le armi, la fede, la ragione e la spada. Eymerich, personaggio letterario certo grande e terribile, qui è più furioso che mai.

Ecco, tutto questo ne La luce di Orione non solo è presente, ma è anche esplicitamente teorizzato ed enunciato dai personaggi del romanzo, dall’inquisitore domenicano, sul piano teologico e filosofico, e dallo scienziato Marcus Frullifer (già apparso in altri capitoli della saga), sul piano scientifico: così qui troviamo, una accanto all’altra, l’idea dello spirito come partecipazione a Dio in cui tutto interagisce, come tessuto nascosto comune a ogni essere senziente e che ci unisce tutti, da un capo all’altro del creato, quella dell’ottavo cielo come psiche di tutti, al di là del tempo, e quella della “legatura” delle parti di un sistema di quanti che, quando si dividono, rimangono legate le une alle altre in modo tale che un cambiamento in una corrisponde istantaneamente al cambiamento in un’altra, in una strana azione a distanza (le "particelle subatomiche sottoposte a opportuni stimoli comunicano all’istante, quale che sia la loro distanza. Reagiscono alla stessa maniera, si trovino separate da qualche centimetro o da anni luce"(ibid., p. 92), spiega lo scienziato).

Ma la fantascienza, o pseudoscienza, non esaurisce ciò che la saga di Eymerich rappresenta: i romanzi di Evangelisti presentano anche un’accurata ambientazione storica. Ne La luce di Orione, ad esempio, puntuale è la ricostruzione della crociata del 1366, pertinente l’analisi della decadenza dell’Impero d’oriente o della decisione del papa di ritrasferire la sede pontificia da Avignone a Roma, accurata la presentazione dei rapporti e delle dispute tra le Chiese d’occidente e d’oriente. 

E non ci si ferma alla storia: in questo romanzo, nello specifico, sono presenti annotazioni letterarie (su Petrarca e Dante), geografiche, artistiche e architettoniche (sulle città attraversate dall’inquisitore, da Padova a Venezia, da Zara a Costantinopoli).
Non mancano, infine, appunti di filosofia: non solo quella scolastica di Tommaso d’Aquino, cui spesso Eymerich fa riferimento con toni di ammirazione, ma anche quella dell’ermetismo, quella filosofia pratica che è la magia seguita e praticata dagli avversari dell’inquisitore e che quest’ultimo deve, però, ben conoscere per poterli affrontare e vincere. 

In effetti, quello in cui Eymerich si trova ad agire – come si è detto – è un universo in cui ogni cosa, "uomini compresi, appartiene a un tessuto comune ed è parte di un tutto" (ibid., p. 93), in cui "variazioni locali hanno effetti universali istantanei e sfidano tempo e spazio" (ivi) e dove "il livello corporeo terrestre non è diverso da quello cosmico, in cui è inserito, e può influenzarlo o esserne influenzato" (ivi). 

Insomma, sembrerebbe un universo fatto a immagine e somiglianza di quello teorizzato dai “maghi” ermetici, medievali e, soprattutto, rinascimentali, da Marsilio Ficino a Bruno il nolano – filosofo dei vincoli magici che tengono saldamente legato in un tutt’uno l’immenso e infinito universo e i suoi mondi –, che immaginavano proprio "il telaio universale attraversato da una ragnatela di relazioni e interazioni, tra oggetti affini, che annullano tempo e spazio" (ibid., p. 94).

Tutti questi elementi nell’opera di Evangelisti convivono e si armonizzano perfettamente tra di loro e con la struttura narrativa. I romanzi di Eymerich sono un prezioso e ricco veicolo di informazioni, atmosfere e suggestioni sul contesto storico, ambientale e culturale delle storie in essi narrate: storia, geografia, arte, filosofia, fanno da sfondo e sostengono il loro racconto, la loro trama, e così si trasmettono al lettore.
Indubbio è, quindi, anche l’implicito valore didattico di questa letteratura: generalmente, i prodotti espressamente istruttivi hanno un basso valore estetico e “puzzano” subito di truffa, perché tradiscono le regole del gioco del media che utilizzano, forzandolo verso un’esplicita connotazione didattica e rendendolo, invece, solamente povero e didascalico. 

L’implicitamente didattico, invece, come questo di Evangelisti, è decisamente più efficace: tutta una serie di conoscenze, essendo intessuta direttamente all’interno della storia narrata, alimentandola, entra nell’immaginario e nella mente del lettore a sua insaputa, andando a costituire elementi e frammenti che egli spontaneamente comporrà, insieme a tutti gli altri della sua esperienza, costruendo un mosaico virtuale che si configura come un sapere aperto e mobile (cfr. Immaginare l’infanzia, a cura di Roberto Maragliano, Anicia, Roma, 2007).

Telaio davvero universale, dunque, quello della scrittura di Evangelisti, che riesce a tessere insieme – e in maniera abilissima, senza far spezzare neanche un filo – trame narrative avvincenti e orditi culturali precisi.