Quello di Fanucci è un nome noto nel mondo editoriale. La casa editrice pubblica con successo libri di qualità, che spaziano dal fantasy alle sperimentazioni narrative che raccolgono umori metropolitani. Oggi Fanucci è anche una libreria che, nel centro di Roma, trova uno spazio autonomo e resiste all'assedio delle grandi catene. Abbiamo incontrato il responsabile, Romano Castellani. 

di Francesca Mordacchini Alfani

La libreria Fanucci è aperta dal 2004 proprio nel centro di Roma, in piazza Madama; 14000 titoli distribuiti su circa 90 mq, uno spazio accogliente e molto gradevole. Essendo legata a un editore specializzato e ben identificabile che, come si legge nel catalogo, “ha sviluppato e ampliato l’iniziale orientamento in un concetto di ‘letteratura dell’immaginario’ (…) per giungere a un’idea di romanzo in cui si sperimentano visioni, si prefigura il possibile” viene subito da chiedersi se questo legame determini il cliente tipo e la filosofia della libreria.
Ci risponde Romano Castellani, responsabile della libreria.

R. Non necessariamente perché di fondo questa è una libreria generalista. Non si è voluto identificarla troppo, proprio per raggiungere varie tipologie di cliente. Bisogna tener conto anche della posizione, siamo vicini al Senato, con tutto l’indotto, e nel centro di Roma quindi cerchiamo di coprire tutti gli argomenti possibili. Per questioni di spazio non possiamo allargare i settori, ma cerchiamo di mantenerli calibrati. È chiaro che chi conosce il catalogo della casa editrice è più portato a venire qui perché sa di trovare tanti libri Fanucci che in altre librerie non ci sono. La presenza di Fanucci è ovviamente importante, ma discreta.

D. Come si pone la libreria nei confronti dei medi e piccoli editori?

R. Cerchiamo di lavorare al meglio i piccoli editori, con un occhio di riguardo, ma senza nessuna forma di snobismo nei confronti dei grandi. Si sente dire spesso che le grandi case editrici non sanno fare i libri, non mi sento di poter appoggiare questa affermazione. È vero anche che i piccoli editori romani hanno portato sul mercato librario un po’ di movimento, costringendo i grandi editori a entrare nel loro stesso territorio di caccia. Tra l’altro molti curatori delle piccole case editrici sono confluiti nelle grandi. Guardando il banco delle novità e sapendo scremare, da venti anni a questa parte, il livello dei libri è migliorato, o quanto meno non è peggiorato.

D. Secondo il rapporto AIE 2007 sullo stato dell’editoria riferito all’anno precedente si è verificata una crescita delle vendite di libri nei supermercati, centri commerciali e librerie di catena. Viene da chiedersi se e quanto sia ancora importante la figura del libraio.

R. Il libraio è fondamentale. Ma il libraio deve vendere i libri, non deve fare l’intellettuale, deve mettere a proprio agio tutti quelli che entrano, indistintamente, senza pensare di saperne più degli altri. Si può apprendere molto dai clienti, perché su un determinato libro o argomento spesso il lettore è molto preparato. Il libraio è un tecnico, che deve sapersi muovere con facilità tra i cataloghi, attraverso gli strumenti informatici e che deve dare nel più breve tempo possibile risposte mirate alle richieste del cliente. In libreria si fa cultura, ma perché si vendono i libri. Il veicolo per fare cultura in libreria è principalmente questo.

D. Quindi per poter sostenere la concorrenza dei grandi sistemi distributivi la professionalità e la preparazione del libraio fanno ancora la differenza?

R. Il libraio deve gestire tra novità e ristampe circa 40.000 titoli l’anno, è fuori discussione che deve avere una certa dimestichezza con il mondo editoriale, deve leggere e tenersi informato attraverso i quotidiani, gli inserti culturali, le riviste specializzate le trasmissioni radiofoniche, cercare di avere più informazioni possibili per non essere preso alla sprovvista dalla richiesta del lettore. Bisogna amarlo questo mestiere, perché fatto professionalmente è un lavoro impegnativo. Se un libraio è bravo lo si vede dalla libreria, dove il lavoro è a vista. Mi spiego: oltre alla selezione dei titoli che è ovviamente il momento preliminare, è importante il modo di disporre i libri a scaffale selezionando quelli a cui dare maggiore rilievo. Poi, se c’è una richiesta specifica o se il cliente non è abituato a entrare in libreria, il libraio deve apparire per dare aiuto. Adesso è stata aperta la scuola dei librai a Orvieto ed è una buona iniziativa. Certo quando si parla di formazione, si tratta di investimenti, progetti e volontà politiche, ma questo è un primo importante passo. Mi piacerebbe si potesse arrivare a una scuola vera e propria come in Germania e in Francia, dove funziona e dura tre anni.

D. Quali sono, secondo lei, i principali vizi delle librerie italiane?

R. Il primo vizio è quello di non voler considerare la libreria un esercizio commerciale. Spesso il libraio è supponente e presuntuoso, e allontana la persona che si avvicina per la prima volta a una libreria. Ma è proprio lì che si fa battaglia, è quello il cliente da conquistare. C’è poi ancora l’idea molto lontana dalla realtà che aprire e gestire una libreria – e qui torniamo al primo punto – sia facile e che possa avere qualcosa di “poetico”. Non è così, bisogna conoscere i libri e qui torniamo al discorso sulla professionalità del libraio, sull’aggiornamento. Ultima cosa, ma importante è il saper rischiare. Comprare un titolo perché – come si dice – fa libreria, perché rappresenta il lavoro di informazione e di ricerca che c’è dietro la formazione dello scaffale. Un po’ come fanno i piccoli editori, bisogna avere, qualche volta, il coraggio di rischiare.

F.Mordacchini Alfani