Una madre da favola

Nelle fiabe c'è sempre la divisione tra una madre buona e una madre cattiva, di cui la strega è l'estensione più estrema. A volte invece questa figura è del tutto assente. In ogni caso, è fondamentale nella vicenda dei protagonisti. Le declinazioni femminili di questa figura ci raccontano di un mondo simbolico in cui facciamo i conti con gli archetipi dell'origine... 

di Regina Crimilde





Spesso nelle fiabe c'è una contrapposizione tra la figura di una madre buona e una madre cattiva.
Come è facilmente comprensibile, in realtà siamo di fronte al tentativo di venire a patti con l'ambivalenza e il dualismo tipici di ogni essere umano, che però nella madre diventa particolarmente duro ad essere affrontato e accettato, in quanto essa rappresenta, contemporaneamente, anche l'unica certezza e sostenibilità per la vita infantile.

Diventa quindi più facile separare nettamente le due facce della madre e inventarsi la matrigna.
La madre buona si eclissa e lascia il campo alla madre cattiva? Ecco allora che ci si inventa la morte della vera madre e l'entrata in scena di una madre sostitutiva per la quale, non vincolata da legami di sangue alla prole, i sentimenti negativi verso i figliastri diventano plausibili. 

Come nel caso di Cenerentola - nella versione di Perrault - in cui la matrigna è sì negativa, ma opprime e asservisce la figliastra senza attentare alla sua vita.

Quando si arriva a voler rappresentare il tentativo di figlicidio, allora anche la matrigna stessa si sdoppia, tanto grande è il tabù. 


La matrigna-la mamma
Ci sono matrigne nelle fiabe: tante.
Specialmente se paragonate alle poche (e scialbe) madri.

La famiglia è spesso disequilibrata: nonni al posto di genitori; tanti orfani; padri vedovi, tutto tranne che inconsolabili e infatti, ahimé, spesso rimaritati male; sorelle e fratelli, anche in numero spropositato (al ché non si fa fatica a capire perché quelle povere madri siano morte); madrine e tutori.
Ma madri poche. E spesso appena appena accennate: narrate quel tanto che basta a partorire il figlio o la figlia che poi sarà il protagonista.

Come la mamma di Biancaneve la cui esitenza è ricordata solo per l'evento simbolico che sarà all'origine del nome della fanciulla. Si punge un dito cucendo alla finestra e vedendo il sangue cadere sul davanzale di legno, coperto di neve, proferisce il famoso voto: " Se potessi avere una bambina dai capelli neri come l'ebano, dalle labbra rosse come il sangue e dalla pelle bianca come neve!".

All'origine di questa assenza delle madri nelle fiabe pare corrispondere un tabù ancestrale. Non è accettabile che la mamma possa essere "cattiva". La sua faccia oscura viene esorcizzata dalla creazione di un suo alter, la matrigna. Questa assolve il ruolo femminile nella famiglia immaginaria e archetipa, e al tempo stesso si carica delle valenze crudeli senza per questo mettere in discussione la totale bontà che alla figura materna si deve e si vuole attribuire.

Così, mentre l'autorità spetta comunque al padre, che quindi è assolto da accuse di severità, crudeltà, freddezza, proprio perché sono attributi che gli competono in quanto giudice e sovrano, la creazione della matrigna risolve il conflitto esistente tra ventre che genera (e quindi buono) e comportamenti malvagi.
Ma questo fa anche pensare che questa crudeltà delle madri deve esserci sempre stata. E con una frequenza e un parossismo tale da doverla censurare ed escludere dalla elaborazione dell'inconscio collettivo che la è la fiaba.

La matrigna di Biancaneve svela la sua doppia identità di donna e di strega ed è questa ultima ad operare direttamente le aggressioni fisiche.

Così come nella paradigmatica fiaba di Hansel e Gretel, lo sdoppiamento è addirittura totale: due personaggi distinti. La matrigna diventa strumentale all'abbandono; ed è in seguito a questo abbandono che i due bambini finiscono nelle grinfie della strega cannibale.


Le figure di madre sono aspesso assenti, o incolori.
Come la regina madre della Bella Addormentata, che non sa evitare lo sdegno delle fate né contrastare l'avverarsi della profezia maligna.
O la madre di Cappuccetto Rosso che espone la figlia ai pericoli del bosco senza saperle offrire altro che l'inefficace scudo della prudenza.

Talvolta l'assenza della madre è definitiva e determinante per lo svolgersi della storia, gravida di prove difficili e tormenti per il protagonista: così nel caso di Biancaneve e di Cerentola, dove la morte della madre - assenza estrema - lascia spazio all'introdursi della matrigna.

In Pinocchio la madre manca fin dall'inizio: la nascita stessa del burattino è una partenogenesi degna del mito greco. Solo che, nell'aureo mondo classico, senza genitori nascevano déi. Nel più prosaico mondo umano, senza genitori nascono mostri.
E Pinocchio è l'esemplificazione del "mostro" moderno: reso rigido, sgraziato, informe, ribelle dalla mancanza di amore.
Alla ricerca dell'unica fonte di amore che percepisce come possibile. Non Geppetto, che come ogni padre è una figura distante, portatore di sovrastrutture sociali imposte come valori (ordine, legalità, conformismo: il continuo richiamo ad essere buono e frequentare la scuola).

Pinocchio identifica la madre nella evanescente e misteriosa Fata Turchina, che continuamente appare e scompare, muore e rinasce, lo blandisce e lo allontana.

Allora si affacciò alla finestra una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale senza muovere punto le labbra, disse con una vocina che pareva venisse dall'altro mondo: - In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti. - Aprimi almeno tu! - gridò Pinocchio piangendo e raccomandandosi.
- Sono morta anch'io.

Solo la presenza della madre nella sua vita, cercata e saltuariamente incontrata, attraverso peripezie infinite, opererà il miracolo di farlo uscire dalla sua condizione di "mostro". La ricerca sarà lunga e faticosa, talvolta Pinocchio avrà paura di aver perso per sempre la madre:

Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? che fa? mi ha perdonato? si ricorda sempre di me? mi vuol sempre bene? è molto lontana da qui? potrei andare a trovarla?

Ma alla fine il ricongiungimento opererà il miracolo. Pinocchio potrà esclamare:

Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!... 

Ci sono anche le mamme buone, per fortuna. 

Secondo l'interpretazione psicanalatica delle fiabe le relazioni familiari che esse rappresentano danno sfogo ai timori inconsci del bambino nell'affrontare e risolvere il complesso edipico.
La simbologia delal madre-matrigna vorrebbe quindi incoraggiare il distacco dei figli dalle madri dipingendole come figure negative per facilitarne il processo.
Al tempo stesso la strega che lo punisce e lo imprigiona (come in Hansel e Gretel) dà immagine proprio all'atteggiamento castrante e possessivo delal madre edipica.

Ma nelle fiabe esistono anche figure materne positive, anche se spesso sono sostituti della madre vera (che è morta).

Nella versione di Perault di Cenerentola incontriamo la più evidente e conosciuta di queste figure sostitutive, la fata madrina, che fa da contraltare alla matrigna, a sua volta figura sostitutiva della "madre cattiva.
La fata madrina incarna un un principio provvidenziale di natura divina, che si fa garante della risoluzione della vicenda, attraverso magiche trasformazioni (zucche in carrozze, topi in cavalli, vestiti e scarpette di cristallo).
Tutto ciò rimedia al danno e rende possibile, l’incontro con il principe, la crescita di Cenerentola da figlia a donna.

Significativo è il fatto che in alcune versioni della fiaba il personaggio della fata madrina non c'è e la risoluzione del danno viene operata da un albero cresciuto sulla tomba della madre.
O un uccello che assiste il principe nella sua ricerca di Cenerentola.

La Fata come figura materna alternativa appare anche in Pinocchio, nel personaggio, appunto, della Fata Turchina che sviluppa le sue caratteristiche genitoriali solo nel corso del romanzo: all'inizio infatti viene presentata come una "bambina" e Pinocchio tende a considerarla una possibile sorella.
Man mano che la narrazione cresce la buona fata diventa la madre mancante e Geppetto passa in secondo piano.
Non dimentichiamo che Pinocchio è una fiaba sui generis, in quanto scritta da un ben preciso autore e non frutto di elaborazioni orali attraverso i secoli; inoltre anche Collodi stesso scrisse il romanzo a puntate, su richiesta di un editore e la narrazione sembra risentire di questo andamento episodico.


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