Napoli e Gomorra





Le guerre non riguardano solo i conflitti tra nazioni. Ci sono anche quelle quotidiane che si combattono ogni nelle metropoli in cui la malavita organizzata assedia la popolazione con un vero e proprio attacco bellico. Come accade a Napoli, ogni giorno.  Roberto Saviano ne ha narrato orrori e misfatti...

di Guglielmo Caggiano
gcaggiano@blu.it

 

I conflitti, gli scontri, le battaglie sono alcuni dei riferimenti ancestrali della narrazione. L’eroe eponimo della letteratura occidentale, Omero, canta della guerra, dei suoi eroi e di quei nodi irrisolti della coscienza degli uomini che sempre uguali attraverso i secoli si ripropongono in ogni teatro di conflitto. 
Il mito della guerra sempre uguale a se stesso è quindi cantato in ogni tempo, come l’amore. Eros e Thanatos come miti primigeni e protagonisti privilegiati del racconto di ogni tempo.
Gli scrittori insomma hanno sempre scritto di cose d’armi in prosa e in versi. 

La guerra è stata di volta in volta l’occasione scelta per celebrare la gloria di un eroe o di una nazione, l’espediente narrativo per esplorare i recessi più profondi dell’orrore degli uomini; raccontare della guerra è stata tante volte la maniera più efficace di denunciare la brutalità di un regime o l’oppressione di un potere. 

Anche Roberto Saviano parla di guerra. Una guerra strisciante che come un fiume carsico periodicamente riemerge e riesplode conclamata, fragorosa, puzzolente di sangue rappreso e che poi si mimetizza in attesa della prossima occasione. Parla di un territorio che per venticinque anni di fila fa centinaia di morti ammazzati l’anno. Parla di un territorio devastato, di un territorio avvelenato da tutti i veleni del mondo. Parla di un territorio dove gli eserciti in armi sfilano per le strade a bordo di berline di grossa cilindrata. Parla di un territorio dove le verticali del potere sono sempre riconoscibili, dove si sa sempre chi comanda e dove, dove il potere vero non è quello legittimato da Roma. Parla di un territorio di guerra. 

Gomorra di Saviano è uno di quegli incroci rarissimi nei quali realtà storica dei fatti e traiettoria della narrazione si intersecano non risultando più distinguibili. Saviano documenta puntualmente i fatti, svela i meccanismi di funzionamento del Sistema, cita nomi e luoghi eppure parla di una realtà che risulta immaginifica proprio considerando la distanza che separa questa da ogni altra realtà che si immagina o considera “normale”. Come la guerra.
Saviano parla di guerra e non usa il termine in maniera metaforica. Quando il fiume carsico delle guerre di camorra risale in superficie queste si combattono con kalashnikov e bombe a mano.
Saviano racconta degli uomini, che si muovono sul paesaggio con traiettorie esistenziali deformate dalla lente distorsiva di meccanismi che permeano e condizionano anche il più piccolo gesto del quotidiano. La condizione di guerra mantenuta dal Sistema sovverte i paradigmi della normalità per reinventarne dei nuovi, funzionali alla propria logica di potere. 

Quella di Gomorra, in maniera probabilmente non cercata, si rivela un formidabile esempio di trasfigurazione letteraria dell’esistente, senza aver bisogno di inventare espedienti narrativi o colpi ad effetto poiché la realtà della Campania di Saviano risulta più sconvolgente di qualsiasi artificio letterario. 

Ma ciò che più di ogni altra cosa colpisce è che Saviano non racconta di guerra, economia, potere con lo spirito dell’apostolo di una palingenesi civile che riscatti quei luoghi, con il fuoco della denuncia sociale. Quando Saviano urla nelle sue pagine l’oscena nudità del re, quando grida all’universo mondo questi mostruosi segreti di pulcinella che tutti conoscono e nessuno racconta mai, quando Saviano fa i nomi trova il proprio modo di affermare una ragione di esistenza in un mondo completamente ribaltato dalla logica della violenza rapace. E allora non è più solo impegno civile, diventa l’affermare con forza «io esisto perché ho visto e racconto».
Un meraviglioso esempio di letteratura di guerra.