torna alla homepage

Numero 8



Feed RSS

Archivio

                                                                                                     stampa questa pagina [versione printer friendly]

                                            


Nella mia pelle, Kate Holden, e/o edizioni





Kate è una ragazza molto amata dalla sua famiglia. Una vita serena, l'amore per i libri, gli amici. Poi, all'improvviso, la droga. L'eroina entra nella sua vita e la trascina con sé, nelle notti buie delle strade popolate da personaggi privi d'autore, nelle notti stanche dei bordelli. Ma se venti anni fa i lettori leggevano, trepidanti, le disavventure di Cristiana F. nello zoo di Berlino, in questo romanzo la droga rimane quasi sullo sfondo per far fiorire invece una dolente galleria antropologica che mostra uomini e donne nelle loro meraviglie e debolezze. La sessualità diventa per Kate un'arma, uno scudo. La vita che conduce in fondo non le dispiace, trova sempre qualcosa che le mostra una luce, un guizzo artificiale. Dovrà conoscere sé stessa e tutta la sua pelle prima di virare verso la "normalità". E la sua pelle segreta è fragilità, delicatezza. 
Un romanzo autobiografico che tratta temi difficili con una prosa raffinata, letteraria, incline al dettaglio linguistico e capace di stemperare la spigolosità degli eventi narrati. Stemperare, non annacquare. La storia infatti taglia, incide. Kate Holden è una vera scrittrice, capace di procedere con passo sicuro al di là dei fatti biografici. Per questo la aspettiamo con il suo secondo libro. 
(Francesca Pacini)


Nuvolosità variabile, Carmen Martin Gaìte, Giunti 




Che accade quando due cinquantenni, amiche del cuore negli anni acerbi dell'adolescenza, si incontrano di nuovo? 
Mariana è diventata una psicanalista che però dietro la brillante carriera nasconde tensioni irrisolte ("voi analisti avete bisogno del nostro squilibrio", le dice il suo amante-paziente). Sofia è la moglie di un ambizioso uomo d'affari, tuttavia dietro la quiete del quadretto familiare si agitano frustrazioni e insofferenze. 
Con questo incontro, le due amiche hanno modo di misurarsi affacciandosi in uno specchio, in un gioco di rimandi e rimbalzi che mescolano passato e presente. Due voci che si fondono in un coro unico attraverso un ritrovato rapporto che si fa parola scritta, epistola. Alla fine, dalla consapevolezza emergeranno nuove possibilità, maturate in un cammino doloroso che fa della scoperta di sé il grimaldello per aprire la porta a una nuova coscienza. 
La nuvolosità dell'animo femminile è fatta così: variabile. A volte pioggia, a volte sole. Dipende dalla capacità di penetrazione dello sguardo, e dai suoi punti di fuga. Un romanzo che merita di essere letto.
(Alina Padawan)




Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Alice Miller, Bollati Boringhieri




Un classico della letteratura psicanalitica che vale sempre la pena di leggere, o rileggere. Con una scrittura limpida, partecipata, commossa, Alice Miller affronta il mondo violato dell'infanzia, quel mondo su cui, una volta adulti, si innesteranno depressioni e onnipotenze. Ogni nevrosi deriva da un mancato radicamento nel terreno infantile il cui nutrimento amoroso è stato sostituito da mancanze, assenze, obliquità. Così il bambino cresce in fretta, rapidamente - troppo radpidamente - per mascherare le sue insicurezze, occultando il vero Sè a favore di un Io fasullo che viene magnificamente ostentato come scudo e protezione. Ma la protezione diventa prigione, e la sofferenza racchiusa va liberata. 
Alice Miller conduce il lettore nel mondo dolente di questi adulti traditi, che cercano di riconquistare quel Sè smarrito tanto tempo fa, ansimante dietro i talenti difensivi sbandierati dal bambino in corsa verso l'età adulta, promessa dorata che invece si rivelerà ancora più difficile dall'età acerba dalla quale si fugge. Dietro, alle sue spalle, lo specchio mancato in cui si rifletteva attraverso la madre lo inseguirà tutta la vita:
«Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preeso sul serio e rispettato dalla propria madre. Deve poter disporre della madre nelle prime settimane e nei primi mesi di vita, usarla, rispecchiarsi in lei. Un'immagine di Winnicott illustra benissimo la situazione: la madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova...a patto che la madre guardi davvero quell'esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie paure e attese, i progetti che imbastice per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà sè stesso, ma le esigtenze della madre. Rimarrà allora senza specchio e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo 
Una lettura certamente difficile, ma necessaria.
(Francesca Pacini)



Mattatoio n.5, Kurt Vonnegut, Feltrinelli






Così va la vita
(detto trafalmadoriano)


Pensate a cosa accadrebbe alla vostra vita se poteste viverla saltellando all'interno dei vari momenti senza soluzione di continuità, se vi ritrovaste un momento sposati con figli, un momento bambini a scuola, e d'improvviso foste catapultati nell'attimo peggiore di tutta la vostra esistenza.
Attraverso gli occhi di Billy Pilgrim, stralunato e singolare viaggiatore nel tempo e nello spazio suo malgrado, lo scrittore Kurt Vonnegut ci racconta, con il suo stile carico di ironia e di sarcasmo, una storia di fantascienza ed insieme un'amaro apologo contro la guerra, di qualunque colore essa si dipinga.
Sfruttando il punto di vista singolare degli alieni che ad un certo punto rapiscono Billy, e lo trascinano nel loro pianeta d'origine, Trafalmadore, scopriamo come il loro mondo e la loro visione del tempo come fatto immutabile e ineluttabile, sia molto simile alla nostra, che parliamo di concetti come libero arbitrio, e poi di fronte a scelte per noi scomode, per giustificare le nostre azioni, ci diciamo che non c'è altra scelta.
Anche noi umani, come i trafalmadoriani, finiamo per essere intrappolati nel tempo come insetti nell'ambra, come se tutto fosse già deciso, come se non potessimo in alcun modo influire sulla catena degli eventi della storia, e fossimo condannati a ripetere gli stessi errori di generazione in generazione.
E così per un padre testimone oculare della ferocia di cui sono capaci anche le più benintenzionate tra le persone, nasce un figlio che diventa Berretto Verde e uccide per mestiere, perpetuando così la catena della violenza dell'uomo sull'uomo
Vonnegut è aspramente critico, e al contempo rassegnato, nei confronti della crudeltà dell'uomo, non importa di quale divisa si vesta, ed infatti nel corso del romanzo stigmatizza sia la violenza nazista dei rastrellamenti e dei campi di concentramento, sia quella degli alleati, che raggiunge il culmine nel bombardamento della città di Dresda, uno degli episodi più famigerati della seconda guerra mondiale, che costò la vita a 120.000 persone, mentre quello dell'atomica di Hiroshima “solo” a 80.000, senza considerare le conseguenze delle radiazioni.
Capace di immagini sintetiche ed aspre, ed al contempo ironiche, come quando definisce la prima e la seconda guerra mondiale, il primo ed il secondo infruttuoso tentativo di suicidio collettivo della civiltà occidentale, la prosa di Vonnegut colpisce al cuore per la sua implacabile lucidità nel mettere a nudo le debolezze dell'umanità, e riesce ad un tempo a farci sorridere e commuovere mentre racconta l'ineluttabilità del destino di morte che accompagna la storia della razza umana, spingendoci a far tesoro dei momenti più felici e a cancellare il dolore e la disperazione, per evitare che finiscano per sopraffarci.
Mattatoio N.5 è per il bombardamento di Dresda ciò che fu il Guernica di Picasso per il bombardamento della città di Guernica, un grido disperato contro la violenza sulle persone civili ed inermi, vittime innocenti di qualsiasi guerra, giusta o santa, preventiva o chirurgica che sia, un monito da tramandare alle future generazioni, nella speranza che a Trafalmadore si sbaglino, e che l'umanità possa finalmente un giorno imparare dai propri errori, e che la violenza non sia sempre l'unica risposta alla violenza. 
(Flavio Serantoni)


Vampa d'Agosto, Andrea Camilleri, Sellerio






Il libro, scritto dal siciliano Andrea Camilleri, si inserisce nel filone della for-tunatissima serie del commissario Montalbano.

La trama, rispetto ad altri libri, qui è più lineare e fluida anche se il finale, quantunque a sorpresa, appare forzato e non del tutto felice. Quando Adriana — la bellona che non manca quasi mai nei libri di Camilleri — chiede al com-missario di prestargli la pistola in attesa dell’arrivo dell’assassino di sua sorel-la e solo perché ciò le potrebbe far vincere la paura del momento, è una meto-nimia, come si dice, fin troppo ‘telefonata’ dal momento che si è certi, da quel momento, che la ragazza al momento opportuno userà proprio quell’arma per la sua personale vendetta. La forzatura va ricercata nel fatto che Montalbano, e chi ha letto gli altri libri del Commissario di Licata lo sa bene, non porta mai con sé la pistola neppure durante azioni pericolose, e ancor più Montalbano avrebbe potuto rifiutarsi di consegnare l’arma di ordinanza a un civile per di più giovane donna. Per arrivare allo stesso risultato (il possesso da parte di Adriana di un’arma) l’Autore avrebbe potuto trovare soluzioni diverse e più limate, maggiormente in tono con la storia (per esempio si poteva pensare a un ‘regalo’ del precedente fidanzato che si dice avesse iniziato la ragazza alle ‘gioie’ del poligono). Certo solo se la pistola fosse appartenuta al Commissario Adriana avrebbe potuto restituirla dopo l’uso a Montalbano e solo in tal caso questi si sarebbe potuto, per galanteria, assumere la colpa di aver ucciso l’assassino, ma la sensazione (non piacevole) di costruzione artefatta rimane.

Camilleri, ancorché non riesca ad affrancarsi dal Montalbano televisivo (il bravo Luca Zingaretti negli ottimi sceneggiati di Sironi) che sembra ormai a-ver soppiantato nel suo immaginario l’idea che in origine aveva di questo per-sonaggio, gli assegna anche in questo episodio atteggiamenti nuovi e diversi da quelli cui siamo abituati (altrettanto farà in ‘La pista di sabbia’) come ad esempio il dare una maggior confidenza al collaboratore Fazio (utilizzato nel libro quasi come consigliere) o una certa guasconeria, più da sceriffo che da tutore dell’ordine (come quando si rende protagonista del ‘commando’ ai danni del custode di un cantiere edile, dove Montalbano e Fazio, per estorcere informazioni all’uomo, si spacciano per emissari della mafia lasciandosi anda-re a violenza gratuita) soluzioni che un po’ spiazzano costringendo a guardare il Commissario con occhi diversi e non sempre indulgenti.

Ma quel che colpisce in Vampa d’Agosto, ancora una volta, è la prosa di Camilleri che benché non ricca dal punto di vista sintattico e lessicale (e sotto questo specifico profilo ricorda molto Guareschi) è estremamente efficace nel-la descrizione dell’azione e della vicenda. I termini in dialetto siciliano, che tanto avevano fatto scandalizzare Sellerio nelle prime opere di Camilleri, richiedendogli finanche l’inserimento nelle ultime pagine di un vocabolario dal siciliano all’italiano, è colmo di suoni eufonici e fortemente evocativi. Cosicché l’arrisbigliare, il vidiri e svidiri, il fari a pampineddra e tante altre espres-sioni colorite, dopo un po’ riecheggiano nel proprio bagaglio culturale come vi avessero sempre fatto parte, come parole naturali per ‘leggere’ l’atmosfera dei personaggi di Vigàta. L’essenzialità della prosa dell’Autore fa assomigliare il libro più ad una sceneggiatura che ad un poliziesco vecchia maniera, ma que-sto aggiunge solo fascino all’opera anziché sottrargliene e rende unico lo stile di questo Autore.

Godibilissimi, come sempre i personaggi di contorno, come la macchietta Ca-tarella, credibile ed autentico, e Livia, che compare solo nei primi capitoli, al-tera e scostante, personaggi lungamente collaudati da Camilleri e che vengono utilizzati in questo libro per far risaltare ancor più la figura fresca e tentatrice di Adriana.

È un libro senza dubbio da consigliare e che si legge tutto d’un fiato.
(Briciolanellatte)