torna alla homepage

Numero 2



Feed RSS

Archivio

                                                                                                     stampa questa pagina [versione printer friendly]

 



L’eroe meschino


Le avventure del Guerin Meschino non sono meno impegnative di quelle dei grandi personaggi di storie e leggende. 
Si tratta infatti di un vero pellegrinaggio interiore che si traduce in un viaggio in cui incontrano principesse, maghe, eremiti...


di Claudio Lanzi

 

 

Tra tanti viaggiatori famosi ce n’è uno assai particolare, tale Guerin Meschino, che ha riempito le cronache dei Monti Sibillini di leggende e fantasie, raccolte e sistematizzate in romanzo da Andrea da Barberino agli inizi del 1400.

Guerino è un personaggio un po’ diverso dal solito eroe cavalleresco, con un lignaggio nobile ma con un nome che oggi potremmo definire… decisamente sfigato. Se pensiamo infatti a Orlando, Rolando, Riccardo, Galvano, ecc., restiamo subito folgorati dai nomi altisonanti, e non ci stupiamo che tali personaggi possano essere anche autori di eroiche gesta. 
Invece il nome “Guerin Meschino” è avvilente, direi “fantozziano”, ed è assai difficile associarlo a grandi imprese. Sia il suo nome (un diminutivo) che il suo cognome (un dispregiativo) depongono pesantemente a suo sfavore. Eppure il suo viaggio non ha nulla da invidiare a quelli dei paladini, o a quelli precedenti di Ulisse o di Enea o di Ghilgamesh. Guerino è un eroe straordinario e centrale nei racconti degli abitanti del luogo, le cui gesta sono state narrate in modo sommesso, aggiungendo spesso particolari inediti, nati forse dalla fantasia popolare o forse insiti in una memoria che si perde nella notte dei tempi.


In un articolo non è possibile fare un riassunto della sua lunghissima avventura. Ci limiteremo perciò ad alcuni particolari che differenziano leggermente il suo percorso da quello dei suoi più celebrati compagni di leggenda.

Guerino nasce nobile ma, per quella serie di catastrofi possibili solo in un romanzo, resta subito orfano e perde la possibilità di conoscere i suoi natali. In ciò si richiama ad altri apocalittici romanzi cavallereschi bizantini ma nel romanzo di Andrea da Barberino, Guerino, anche se di origini incerte, riesce a partecipare a innumerevoli tornei e battaglie dei quali risulta sempre vincitore. Giunto a Costantinopoli si innamora perdutamente della principessa Elissena e, come accade sempre ad ogni eroe quando si innamora, da questo punto in poi i suoi guai… si centuplicano. 

Infatti, durante un combattimento, il suo avversario lo schernisce accusandolo di non conoscere neanche i suoi genitori. Tale accusa, che lo colpisce proprio in uno dei punti più dolenti, lo umilia al punto da far diventare prioritaria e ossessiva la ricerca dei suoi natali.


E’ ovvio che tale ricerca ha un significato che va ben al di là dello smarrimento in seguito all’offesa ricevuta. Si tratta di ritrovare la propria origine, il proprio orientamento interiore, la matrice originaria del proprio destino. Ricordiamoci che anche in occidente era assai importante conoscere la propria origine e tributare ad essa tutti gli onori possibili, indipendentemente dalla nobiltà della stessa. L’abitudine di tenere i lari e i penati vicino al fuoco domestico (o la foto degli avi sopra il camino) è stata una tradizione che ci ha seguito dalla Roma arcaica fino a pochi decenni or sono. Dovremmo forse domandarci ancora il significato di questo sacrale collegamento con la gens, al di la di facili ironie sul senso della famiglia perduto, sul bisogno d’emancipazione, e fesserie del genere.


Comunque tutte le peripezie del povero Guerino saranno imputabili a questa sua ricerca, assai simile alla ricerca del Graal, in un percorso a ritroso che ha reso celebri i personaggi duecenteschi di De Lorris. La struttura del viaggio è classica e farebbe felici gli estimatori di Propp e di Campbell (i grandi studiosi della psicologia della fiaba e del racconto d’avventure).

Guerino affronterà di tutto e di più, in una escalation rocambolesca, fino ad incontrare, a Tunisi, il mago-eremita Calagabach, il primo che solleverà qualche velo sulla sua ricerca. Ma ovviamente, con quella “carognaggine” caratteristica di certi maghi, Calabach gli complicherà il percorso e lo rispedirà in Italia alla ricerca della maga Alcina, l’unica in grado di risolvere il problema. Neanche a dirlo Guerino parte subito per l’Italia e, arrivato a Norcia incontra finalmente qualcuno disposto ad aiutarlo, l’oste Anuello, che gli domanda da dove viene: “Vengo da tutto il mondo e non so da dove vengo, né dove andrò” è la risposta emblematica di Guerino. Grande risposta, in verità, in quanto mostra la centralità del percorso dell’uomo alla ricerca di se stesso e dona un senso ed una colorazione simbolica a tutte le avventure successive.


Durante il racconto scopriremo che la fata Alcina non è altro che la famosa Sibilla. Ma mentre la figura delle Sibille classiche non è né buona né cattiva, quella del romanzo di Andrea da Barberino richiama fortemente la maga Circe. Ne ha tutti i connotati: L’antro, i guardiani, le illusioni, le trasformazioni degli uomini in animali, le tentazioni, l’uscita dal tempo ordinario e l’ingresso in una iperrealtà a volte fumosa, a volte lucidissima.

E questa figura risulterà centrale per le leggende dei monti Sibillini, sarà collegata a quella altrettanto famosa del lago di Pilato e ai racconti magici e sconcertanti che tuttora avvolgono quei luoghi. Alcina-Sibilla è in realtà il grande arcano da risolvere, è l’ombra dell’uomo in tutti i suoi aspetti, è l’incontro con la fragilità, con le passioni, con i vizi e con la miseria e solo un uomo straordinario sarà in grado di uscire vivo dal suo antro.


Ma arrivare al suo antro non è facile. Una caratteristica straordinaria (anche dal punto di vista della metafisica simbolica del romanzo d’avventure e dei consueti paralleli con la cabbala) è che la grotta sibillina si trova sulla cima di un monte: ad indicare che, per entrare nelle viscere della terra e cioè nei meandri irrisolti della psiche umana, bisogna… salire e non scendere come sarebbe facile immaginare. A questo punto inizia il vero viaggio interiore. Guerino incontrerà tutte le sue paure ma, armato di una forza e di una fede incrollabili, riuscirà ad entrare nella grotta, subirà il fascino della Sibilla senza farsi fuorviare ed uscirà indenne dalla grotta pur avendo provato, come Ulisse, la terribile tentazione del canto delle Sirene. Ma, mentre Ulisse si dovrà far legare all’albero della nave, lui si collegherà ad una giaculatoria straordinaria, connessa al nome di Gesù, che nei casi più difficili, lo trarrà fuori dai guai.

Diciamo pure che l’impresa del Guerino è durissima. Viene sottoposto a malefici di ogni tipo. Il narratore si dilunga nella descrizione di tutte le tecniche fascinatorie di Alcina, che attentano progressivamente, a tutti i sensi. La Sibilla dispone di un coacervo di armi seduttive terribili ed è interessante notare come l’autore descriva i momenti di obnubilazione del povero Guerino che si trova immerso tra veli, profumi, occhi ardenti pieni di desiderio, membra languide e lascive, profferte d’amore d’ogni tipo. E questo per un tempo indefinibile, mesi, anni forse. 


La cosa interessante è che la Sibilla non gli rivelerà affatto il nome dei suoi genitori per cui questo ennesimo tentativo di Guerino potrebbe sembrare fallito. In realtà il Guerin Meschino ha superato lo scoglio più grande. Ha conosciuto la sua natura e non ne è rimasto prigioniero. Ha guardato in faccia il Meschino che è in lui ma ha scoperto che il meschino è anche l’umile, l’unico che può avocare a se le virtù eroiche per sconfiggere l’illusione. La sua uscita dalla caverna è una vittoria della luce sul buio. Il potere ctonio viene sconfitto e l’eroe solare potrà proseguire il suo cammino di conoscenza.

 

Biblografie interessanti: Il Meschino e il Guerino, T, D’Aragona, Venezia 1560. T. Tumiati Guerin Meschino, Leggenda Drammatica in tre atti. Milano 1912, Desonnay, Introduction a le paradis de la Reine Sibille Parigi 1930