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Numero 18



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www. il marchio della bestia

 






L’uso di internet genera apprensioni che  per Franck Sunn, informatico tedesco, si allacciano addirittura all’Apocalisse di San Giovanni. Dire che internet corrisponde al 666 demoniaco è forse troppo – specie in un periodo di  infelice caccia ai simboli religiosi- tuttavia qualche campanello d’allarme si accende…

di Barbara Colocci

 

 

Sunn è un informatico tedesco che da vent’anni si interessa di cabala astrologia. Nelle sue indagini si è concentrato su alcuni aspetti inquietanti legati al mondo del web e dell’informatica che si aggancerebbero alla famosa profezia relativa all’Apocalisse di San Giovanni. Profezia in cui si parla della bestia e del suo marchio, il 666. Ora, in un momento anche troppo denso di codici presunti e altre “verità” nascoste da diffondere in dosi massiccie, tale accostamento va preso con tanta, tanta cautela. E una necessaria dose di scetticismo. Alcune considerazioni, però, rimangono affascinanti; pur non credendo che internet sia la manifestazione occulta della bestia di San Giovanni, i parallelismi di Sunn provocano comunque alcune riflessioni stimolanti.

Da tempo si discute sui pericoli e sulle opportunità della “rete globale”, a volte con eccessivi allarmismi, altre con disinvolta superficialità. Certo è che internet è una realtà fondamentale, una delle poche, vere rivoluzioni del secolo appena trascorso.


Ma vediamo cosa spinge Sunn a sospettare l’intrusione di “Satana” nel web.

È una teoria immaginifica ma non certo priva di fascino.

Giovanni parla di una bestia che sale dal mare e che viene adorata dagli uomini, assumendo il potere su ogni popolo, lingua e nazione.

“Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei”.

Chi si occupa di numerologia sa benissimo che questo numero ha dato vita a studi, intuizioni, smentite e diatribe sul famoso “nome d’uomo” collegato alla bestia.

Ora, l’abbreviazione della rete mondiale è “www” e il valore di queste lettere equivale a 666. Sunn riprende questa tesi e la indaga ponendosi nei panni di un uomo vissuto millenni fa (come poteva essere Giovanni nel tempo della sua visione) che si trovasse oggi a commentare il rapporto dell’uomo con il computer.


E se con un colpo d’occhio distaccato, un po’ come quello degli angeli di Wim Wenders, osservassimo l’umanità, vedremmo case e uffici piene di uomini seduti davanti a un oggetto strano, almeno così apparirebbe a chi non sapesse cosa è un computer. Per di più, questi uomini seduti davanti all’oggetto in questione sembrano quasi in adorazione, come dice Giovanni, perché lo fissano quasi attendendo risposte. Sì, Franck fissare muti uno schermo. È quello che facciamo tutti i giorni. E per farlo utilizziamo, secondo Sunn, il “nome dell’uomo” di cui parla Giovanni, il 666, www. Ovviamente si tratta di teorie visionarie, discutibili, che però hanno il pregio di farci riflettere su alcuni pericolo connessi all’abuso di internet. Perché Giovanni parla del marchio impresso sull’uomo, nella sua  fronte o sulla mano, senza i quale esiste più. È il segno della sua schiavitù.


Ora, sappiamo bene come i numeri e i numeretti (conto in banca, password, codici vari) condizionino la nostra vita pesantemente. Eppure da qualche anno si mormora anche sulla possibilità, in futuro, di innestare un microchip sotto la pelle per poter eseguire comodamente tutte le nostre operazioni quotidiane facendo uso di un solo codice, sempre leggibile dalle macchine. In questo modo anche su internet non servirebbero più le trafile digitali di riconoscimento ma uno scanner leggerebbe il codice che si trova sotto la pelle. Qui purtroppo non siamo più nelle fantasie ma in un dato probabile, anche se deve superare ancora una certa soglia di pubblico sconcerto. “E che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il numero della bestia o il numero del suo nome”. Già adesso, comunque, nessuna operazione commerciale avviene più senza una sorta di marchio rappresentato dal codice a barre. Il passaggio ulteriore sarebbe quello di barrare ogni uomo.


Fantapolitica? Visioni futuriste? Probabilmente. Sunn però pone interrogativi reali sul controllo già esistente attraverso l’uso di internet e di mail leggibili “dall’alto” quando si tratta di verificare le condizioni di sicurezza per un paese. Solo che la linea di confine  delle condizioni di sicurezza è a discrezione di un capo, e di una nazione. Almeno così ci insegna la storia, basta guardare quella recente.

Insomma forse siamo già controllati, forse ogni nostra mail viene letta, un “grande fratello” conosce i nostri movimenti, i nostri gusti, le nostre abitudini di consumatori (conti in banca, acquisti su internet, ecc…). Ma non ce ne accorgiamo. Perché questa “schiavitù” profuma di libertà.

In  Egitto gli schiavi sapevano di essere schiavi. Non c’era nessuna illusione. Oggi invece ci crediamo liberi ma lo siamo davvero? “L’invenzione più astuta del demonio è stata quella di far credere che non esiste”, dice Kaiser Sousa nei Soliti sospetti. E se un’altra invenzione magnifica fosse quella di far credere che la libertà esiste?


Ecco come rendere schiavo l’uomo. Con strumenti che ne alimentano il senso di onnipotenza, di onnipresenza nel mondo (e qui internet assume un ruolo fondamentale). Ecco, qui forse internet è un po’ “la bestia”. In fondo adoriamo il computer, lo coccoliamo, quando va in panne ci strappiamo i capelli. Lo stress maggiore dei manager, riferisce una recente intervista, si manifesta quando  il sistema email va in tilt, anche solo per un’ora.  Ci sentiamo tagliati fuori “dal mondo”. Ma il mondo è reale, non virtuale. Davvero, a volte l’adorazione del computer rasenta quella di una bestia, o di un dio. Dipendiamo completamente illudendoci però di navigare, letteralmente, in spazi aperti dove assaporiamo il gusto globale. Il senso del sacro è oggi passato dalle chiese alle banche, cioè le nuove cattedrali che celebrano il rito dell’homus economicus. Ma cosa usano per esistere e proliferare? Inernet, ovviamente. La libertà telematica raggiunge livelli insospettabili. Oggi facciamo spesa restando a casa, le operazioni bancarie avvengono davanti al nostro computer, senza intermediari (davvero? C’è sempre il grande, unico mediatore…internet).

Strana società, la nostra, in cui la ipercomunicazione abbatte ogni muro ( è “tutto intorno a te”, come Vodafone) e nello stesso tempo genera individui a loro modo sempre più solitari e individualisti. La comunicazione mediata, cioè filtrata, avvicina e allo stesso separa, creando però l’illusione di una immediatezza con il mondo senza che ci sia un contatto diretto. In questo senso internet è come una bestia. 
Ogni demonizzazione è rischiosa perché trascina con sé le forze irrazionali (“il sonno della ragione genera mostri”, diceva Goya) che non riescono a fare esercizio di discriminazione. Un livello di allerta, invece, costringe a essere attenti sulla doppia valenza del web e del suo uso.

Torniamo a Sunn. Nel suo libro “Internet è l’anticristo?” pubblicato da Armenia le suggestioni profetiche si sommano a dati reali sul controllo (quello possibile e quello effettivo) esercitato sull’utente, con una interessante previsione – questa sì, apocalittica – sullo sviluppo futuro che consisterebbe, appunto, nel “segnare” la mano dell’uomo con un microchip. Questo il marchio da lui paventato. L’unica tessera apparentemente servirebbe a liberarsi delle pastoie burocratiche legate alla serie di numeri e di tesserini che ci accompagnano, ma nello stesso tempo un possibile innesto sulla pelle coinciderebbe con un controllo totale. Nessuno più, dice Sunn, sfuggirebbe ai controlli. 

Speriamo solo che la “tessera intelligente” non superi  l’uomo stupido. In fondo, nella rivolta  di Hal 9000 il computer ci mostrava  già questa prospettiva…