torna alla homepage

Numero 18



Feed RSS

Archivio

                                                                                                     stampa questa pagina [versione printer friendly]



La regola della libertà

 


L’ordine non presuppone sempre una sudditanza a norme che rappresentano un limite. Forse è necessario per il manifestarsi della vita con tutto il suo slancio creativo. In fondo l’universo è fatto di regole. E l’uomo
?

di Claudio Lanzi 

 

Si può essere liberi senza regole? O le regole servono per esser liberi o esser schiavi? O meglio esistono delle regole che servono per liberarsi? E da cosa ci si libera? E se uno si vuole liberare dalle regole deve farlo seguendo una regola o senza alcuna regola?

Ma se per liberarsi non ci sono regole si diventa schiavi della libertà?

Beh, se uno non parte prevenuto e considera tali domande non come una semplice proposta provocatoria ma come una ipotesi abbastanza seria su cui riflettere possiamo permetterci di andare avanti.

 

Libertà è un termine ossessivo e ricorrente in qualsiasi formazione politica o sociale. Lo sapeva Socrate e lo sapeva Platone. Entrambi irridevano al vezzo di abusare di un termine di cui non si conosce il reale significato. Difficile che un uomo politico abbia mai detto di voler porre i suoi concittadini in schiavitù. La prima cosa che, con regola (appunto) ferrea, promette ai suoi elettori è una non meglio identificata “maggior libertà” ma difficilmente specifica libertà da cosa e ancor più difficilmente specifica il prezzo di tale libertà. Altra cosa che non viene spiegata mai è se la libertà raggiunta da qualcuno comporti una schiavitù maggiore per qualcun altro. O se il raggiungimento di una specifica libertà (ad esempio da un obbligo fiscale, da un comportamento etico) possa condurre a una qualche forma di prigionia.

Proponiamo qualche piccolo esempio per un attimo di riflessione. Libertà di abortire vuol dire libertà di uccidere? Oppure libertà di drogarsi vuol dire libertà di alterare la propria coscienza a scapito del prossimo? Oppure libertà d’impresa vuol dire libertà di appropriazione di qualsiasi cosa? E la libertà è un bene esportabile? E se io non volessi essere libero tu ti senti ugualmente obbligato a far si che io lo sia?

Cioè se io voglio, ad esempio, praticare l’infibulazione, se voglio circoncidermi, se voglio vivere come moglie in un harem, tu sei obbligato a farmi appropriare di libertà che non sento mie?

Ma non può succedere che magari, dopo che tu mi hai finalmente liberato, io possa sentirmi defraudato di diritti di comportamento che prima avevo ed ora non ho più?

Dire poi che la libertà è un compromesso fra tante forme di schiavitù sarebbe offensivo per la coscienza dei  bravi e liberi cittadini, per cui anche la parola “compromesso” viene evitata accuratamente e si ricorre a eufemismi come “incontro”, “convergenza”, “sinergia” ecc.

Ma se qualcuno la mattina ci urlasse che non siamo liberi e non potremo esserlo mai, e proponesse un metodo per farcene accorgere, forse ci spaventeremmo a morte. Socrate che si proponeva tale obiettivo si prese infatti una bella dose di cicuta. Ahimé, dare dello schiavo a qualcuno che è convinto d’esser libero è un’offesa imperdonabile.

Ma, forti di ciò, vediamo capire chi è “libero”.

Il termine viene dal greco “eleutheros”, cioè “del popolo” e eleutheros ha una radice indoeuropea “leudhò” che equivale al latino “gens”, stirpe. Dunque l’origine del nome indica più che altro una possibilità di esprimere la propria caratteristica genetica.

Ora sia Platone che Aristotele hanno messo in relazione tale termine con i concetti di “determinato” e “indeterminato” e si sono domandati se esistono una libertà relativa e una libertà assoluta, concetti che affliggereanno tutta la filosofia fino ai nostri giorni. Si arriverà fino ad Heidegger  che dirà come la progettazione e la trascendenza dell’uomo siano una libertà limitata in quanto condizionata dal mondo in cui avviene il progetto.

Oggi viene filosoficamente accettato il concetto di una libertà relativa (anche in relazione al pesante influsso della psicoanalisi) ma, a quanto pare, nessuna filosofia è in grado di risolvere il problema esistenziale, sia individuale che collettivo e quindi quasi tutti gli esseri umani pensanti, a un certo punto della loro vita, dopo essersi chiesti quanto sia credibile la percezione dell’esistenza, si sono domandati anche quali siano i gradi di libertà di tale esistenza. E da qui sorge il drammatico e per niente piacevole problema del libero arbitrio, cioè della possibilità di determinare o meno una parte o la totalità della propria esistenza.

 

Se ci rifacciamo all’etimo scopriremo che la libertà è naturalmente un limite in quanto non può offrire soluzioni che contrastino con la “genericità” a cui apparteniamo. Vorrei esser libero di volare, ma non posso perché non ho le ali. Vorrei esser libero di non pagare le tasse ma non posso perché appartengo ad un mondo che vuole che io le paghi.

Il primo limite alla mia libertà è connesso alla mia costituzione, il secondo alla società.

Posso sforzarmi di superare il mio limite genetico e costruirmi delle ali.

Posso sforzarmi di non pagare le tasse isolandomi dal mondo.

Nel primo caso il mio sforzo di volare sarà limitato dalla mia costituzione che non è quella di un uccello.

Nel secondo caso il mio isolamento mi renderà impossibile chiedere aiuto se mi sento male o se ho bisogno di compagnia, mi mancherà qualcuno che mi indichi una via se mi perdo ecc.

Dunque la libertà è…una prigione con almeno tre confini. Il primo limite sono io, il secondo è il mio prossimo (umano), il terzo è il mondo.

Tradotto in una direzione spiritualmente un po’ più complessa (e seguendo in modo un po’ trasversale e caciarone sia E. Fromm che S.Ilario) potremmo dire che non si può essere ciò che non si è mentre si può sempre avere qualcosa che non si ha. La pretesa di avere altro rispetto a ciò che si ha già, crea la illusione di chi, avendo di più, presume… d’essere più libero. Invece la pretesa d’essere altro rispetto a ciò che si è crea a volte la ricerca spirituale ma, assai più spesso confonde i piani dell’essere e dell’avere e induce a pensare che un maggiore avere corrisponda ad un diverso essere.

 

Torniamo dunque alla regola che, da quanto sopra detto, sembra così importante ai fini della definizione e del raggiungimento della libertà. Regola dal latino regula e dalla radice indoeuropea reg (reggere, governare), da cui il rex latino, il raja sanscrito, il tedesco Reich ecc.. L’estensione allo strumento utile per tracciare linee dritte, alla squadra ecc., è una conseguenza del governare. Anche il governare ha una derivazione agricola-marinara in quanto si riferisce all’azione di reggere il timone (vale per la barca come per l’aratro). Il governare consente di andare diritti e di cambiar rotta in prossimità degli scogli.

Dunque la regola comporta un governo, una scelta, imposta da altri o autoimposta, che consenta di scegliere una direzione conforme a obiettivi sociali o politici, a un’ etica e, soprattutto, a dei principi spirituali riconosciuti. È evidente che la conoscenza dei principi non è così semplice. I Pitagorici, per lo meno seguendo quanto afferma Giambico, allenavano coloro che dovevano assumere incarichi di governo (cioè di stabilire regole per gli altri e per se stessi) per decine d’anni e li selezionavano in base a  criteri durissimi.

Cioè introducevano il concetto di disciplina  e selezione assai prima di ogni regola presupponendo che la regola fosse assai complessa da comprendere e che solo in essa fosse contenuta la libertà possibile.

Nel nostro mondo liberista e libertario può sembrare contraddittorio.

Come faccio a esser libero dentro un disciplina, dentro una gerarchia, dentro un’ordine che, per lo meno agli inizi, mi viene imposto e che non comprendo?

 

E qui c’è un problema gravissimo che rende la mente moderna assai poco elastica, anzi direi quasi amorfa. Oggi, infatti, nessuno pensa di essere ignorante. La democrazia che offre (apparentemente) a tutti uguali diritti, assicura anche all’ignorante di poter deliberare intorno a ciò di cui non capisce un tubo. Poiché tutti, in base a una semplice e superficiale informazione (scolastica o mediatica ecc.), pensiamo di essere sufficientemente informati (vedi il vero significato di “informazione” su questa stessa rivista) ne consegue che l’animalità istintuale fa digrignare i denti e reclamare diritti ad ogni costo in base alla presunta informazione (in genere faziosa) ricevuta, e ai pregiudizi che la stessa finisce per alimentare. Tale informazione ci rende animali deliberanti (o forse deliranti).

Ne deriva che dei perfetti ignoranti nel settore della medicina (in quanto non è necessario conoscere per deliberare ma basta essere informati) faranno i ministri della sanità e sponsorizzeranno delle cattedrali universitarie dove impazzano politica e baronie; dei perfetti ignoranti nel settore della guerra faranno i ministri della difesa e decideranno se dobbiamo andare o meno a esportare democrazie oppure  se i soldati devono vestirsi da pacifisti e mettere fiori e cioccolatini nei cannoni; delle simpatiche massaie, completamente digiune di fisica nucleare, sbandierando mutande multicolori, affermeranno che l’energia atomica è pericolosa mentre il carbone e il petrolio sono una manosanta per l’asma. E  il popolo eleggerà entusiasticamente tali ignoranti e li delegherà a deliberare, in base alle presunte informazioni che ha su di loro. E, compiendo tale azione, si sentirà perfino… libero.

Ma come può essere libero un ignorante? Questo era il grande dilemma socratico ma anche quello di un grande saggio vedantino come Shankaracaria; ed entrambi hanno cercato di fornire i mezzi per uscire da tale impasse e forse per lo meno loro, ci sono riusciti. Ma per saperne qualcosa di più consigliamo, a fine  articolo, alcuni libri basilari.

Ora, come abbiamo visto, la parola diritto sia assai vicina a quello di regola in quanto è impossibile andare dritti (e quindi avere anche dei veri diritti) se da qualche parte, interiore od esteriore, non c’è un qualcuno che regga, cioè un Re, che stabilisca le regole. E qui nasce un altro vecchio problema  che ha fatto venire mal di pancia a tutti i filosofi (cosa poco grave) e che ha prodotto milioni e milioni di morti ogni volta che qualcuno pensava di avere regole migliori di qualcun altro. È meglio essere in tanti a stabilire le regole o è meglio che sia uno solo? E chi detta le regole quali requisiti dovrebbe avere?

Il fatto è che esiste una gran confusione fra il potere di dettare regole e la qualifica per dettare regole. In genere chi sta al potere presume di avere automaticamente la qualifica. Per cui tutti si preoccupano di avere il potere in quanto la qualifica viene usurpata per conseguenza. Quest’ultima, gli Antichi la chiamavano jus, che vuol dire diritto sacro. Era una cosa molto seria perché veniva equiparata al Volere degli dèi. Per tale ragione si supponeva che colui che avesse dovuto stabilire le regole e le e avesse dovuto far rispettare, dovesse essere educato nella disciplina e nella conoscenza del mistero della vita. E in genere tale diritto veniva riconosciuto a chi sapeva estrarre la spada dalla roccia. Insomma la reggitore, al Rege.

Stiamo dunque propugnando un ritorno alla monarchia? No, stiamo cercando di capire cosa vuol dire libertà nella regola.

E, con una conclusione scanzonata, ci permettiamo di ricordare una vecchia storiella.

Un giorno la Terra, che è notoriamente femmina e perfettamente consapevole della sua avvenenza e intelligenza, si rivolse al Sole e gli disse: “Brutto maschilista usurpatore antidemocratico. Lo sai che noi pianeti siamo almeno una ventina? Lo sai che ci sono delle minoranze periferiche, oltre l’orbita di Plutone, che tu non illumini mai e di cui non sai neanche il nome? Lo sai che ci stanno le comete emigranti che quando si allontanano pigliano freddo e quando tornano qui, sono incazzate come iene perché sono ridotte ad un blocco di ghiaccio? Lo sai che ci sono degli asteroidi extracomunitari che vengono in massa e che mi invadono periodicamente ma essendo dei poveracci e avendo diritto d’ospitalità non posso davvero respingerli mentre tu non fai nulla per accoglierli? Lo sai che ci sono degli spazi vuoti enormi tra un pianeta e l’altro e Venere mi ha detto ultimamente che si sente sola e che vuole andare dall’analista perché di congiunzioni con Marte  se ne fa solo tre o quattro ogni anno? Lo sai che mi sono proprio stufata di girare sempre intorno a te e che, grazie alle “pari opportunità” è ora che tu giri intorno a me? Lo sai che la Luna mi contesta e ha deciso di diventare un pianeta e mollare la sua orbita. Non parliamo poi di Giove che ha detto che lui è più Sole di te e che ha il diritto di essere lui al centro del sistema. In alternativa, consigliato dal pianeta rosso, che come sai è sempre pronto a qualche rivoluzione, ha detto che vuole indire elezioni democratiche basate sul maggioritario e che chi vince le elezioni si mette al centro del sistema”.

Il Sole, colpito profondamente da questa dichiarazione, venne preso da sensi di colpa. In fondo erano milioni di anni che le cose giravano in questo modo e forse i suoi pianeti avevano ragione. Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a far spostare di un capello le orbite ai vari pianeti, per quanto si impegnasse non riusciva a diminuire la sua gravità e le leggi, ovvero le regole, attraverso le quali si manteneva l’equilibrio cosmico sembravano inattaccabili e immodificabili. Chiese perfino aiuto a Zichichi che è credente e a Odifreddi che non lo è. Ma nonostante i sistemi di equazioni da loro elaborati, non accadde niente.  Lui stesso, che era luminoso e perciò anche illuminato e consapevole, cominciò a sentire il peso di questa autocrazia che non aveva voluto. In fondo non lo aveva mica chiesto lui di stare al centro del sistema solare. Ma sapendo di non poterci fare nulla, con le lacrime agli occhi, cantò una preghiera a colui che aveva stabilito questo ordine sperando che esistesse e che lo ascoltasse. “Caro Ordinatore e Regolatore, per favore stabilisci la democrazia in questo angolo d’universo perché noi vogliamo cambiare le regole io non voglio essere più al centro e voglio che anche gli altri si muovano come meglio credono”

Il grande Ordinatore, che di solito è occupatissimo, questa volta si commosse e ascoltò. Con le sue manone,  grandi ognuna diversi anni luce, spostò un pianetino di poche centinaia di tonnellate da un’orbita periferica ad un’altra. Questo provocò una debole influenza su Titano che cambiò la sua orbita e, dopo un  millennio andò a sbattere su Saturno. A Saturno si ruppero gli anelli e si spostò sull’orbita di Giove e, da questo momento in poi,  il collasso del sistema divenne velocissimo;e mentre la Terra malediceva il giorno che aveva iniziato la sua protesta e guardava con malinconia l’armonia delle sfere (così la chiamavano alcuni dei suoi antichi abitatori) che si trasformava in caos, in un migliaio d’anni, del sistema solare non ci fu più traccia.

 

Libri consigliati:

La Via del Fuoco di Raphael
La Repubblica di Platone
Enneade IV
di Plotino

Il De Monarchia di Dante

Maleducazione Spirituale di Lanzi