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Numero 17



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Il diario, lo specchio attraverso cui passo da sempre

Il diario è un'esperienza magica, che tutti abbiamo conosciuto da piccoli. Peccato perderne tracce e abitudini. In fondo, accoglie e riflette, ogni giorno, i segreti della mente  e del cuore...

di Roberta Necci

Tenere un diario è spesso considerata un’abitudine adolescenziale, un’attività che, con il tempo, si ritiene debba lasciare gradualmente spazio a cose ben più serie fino a sparire nell’età adulta. Sebbene con alcune interruzioni, io non ho mai smesso sul serio e il diario è ancora un fedele accompagnatore della mia vita da adulta.
Non è solo un pozzo di ricordi, un aiutante della memoria come qualcuno lo ha definito, si tratta piuttosto di un interlocutore privilegiato che aiuta la riflessione e sicuramente migliora la conoscenza di me stessa. 
L’uso della parola riflessione non è casuale, il diario riflette, esattamente come uno specchio. 
Uno specchio speciale che non rimanda immagini visive ma mentali, fantasie e percorsi emotivi.

Il mio diario è passato attraverso fasi diverse, dall’iniziale contenitore di eventi in cui semplicemente raccontavo cronache di vita quotidiana, a un successivo elaboratore di dolore fino a strutturarsi come un’oasi di incessante dialogo interiore.

Ero abituata a tenere un diario fin da giovane, quando un evento doloroso, premessa di anni difficili e tormentati, mi aveva colto di sorpresa e un grande quaderno rosa antico aveva rappresentato una vera ancora di salvezza. 
Con sollievo vi depositavo le mie angosce e questo rendeva appena più lieve la sofferenza, permettendomi di fronteggiarla e dipanarla. Era ancora un diario scritto a mano, affascinante per alcuni versi, come la cura quasi maniacale che mettevo nella scelta del quaderno, ma soggetto ad eccessivi problemi di visibilità che non lasciavano spazio ad uno scrivere libero e incondizionato.
Poi il computer, apparentemente più freddo e meno romantico del diario di carta che mostrava con il tempo i segni dell’usura causati dalla scrittura a mano e dalle infinite riletture, e finalmente una password, la stessa ancora oggi, che sancisce la libertà totale. 
Un’evoluzione sostanziale.

Da allora non è più solo diario, è scrivere. 
Il pozzo di ricordi si trasforma definitivamente in un potentissimo strumento riflessivo che rimanda immagini di me stessa per me stessa, dunque uno specchio. 
Ciò che mi viene reso è molto diverso dalle immagini visive a cui sono abituata quando mi specchio, il diario non è impietosamente oggettivo, è uno specchio dinamico e più benevolo, si piega ai miei stati d’animo e nel groviglio delle parole riflesse mi restituisce emozioni e chiavi interpretative diverse, su cui a mia volta riflettere. 
A questo si aggiunge un’ulteriore evoluzione, ora non è più solo “cosa” scrivo a restituirmi emozioni, ma è anche “come” scrivo a suggerirmi e ad aiutarmi a rintracciare nuovi percorsi. 
A volte le parole scritte si trovano a dover rincorrere quelle pensate nel tentativo di trasformare in solida concretezza, grazie alle rigide regole della grammatica, un pensiero gassoso che, non dovendo invece obbedire ad alcuna sintassi, può dissolversi e rendersi irraggiungibile. 
Altre volte sembra essere il pensiero a formarsi inseguendo parole che una dietro l’altra si scrivono da sole seguendo regole inconsapevoli e regalandomi riflessioni di nuove e inaspettate verità. 
Il risultato è un insieme di scritture incerte, frasi strozzate alternate a espressioni di imprevedibile chiarezza, riflessioni lunghissime senza una virgola che aiuti a respirare o periodi di silenzio comunque significativi. 
Spesso torno a rileggere ciò che ho scritto, specialmente da quando lascio che le parole scritte fluiscano senza condizionamenti e il diario è sempre uno specchio sorprendente che mi permette di passare realmente “attraverso” e vedere cosa di me stessa si cela oltre. 
Scrivere di me è un incessante e impegnativo confronto, quasi sempre costruttivo, talvolta semplicemente rilassante. 
Mi sono chiesta molte volte, senza darmi alcuna risposta, se qualcuno in futuro si specchierà nei miei lunghi diari. 
Ho sempre pensato che scrivere di sé sia essenzialmente scrivere per sé e al momento mi considero mittente e destinatario delle mie “riflessioni”, ma questa certezza è diventata meno granitica dopo aver visitato l’Archivio Diaristico Nazionale a Pieve di Santo Stefano, una biblioteca di circa seimila diari.
Due giorni fuori dal mondo con la sola compagnia di un’amica del cuore, altro specchio della mia vita. Un’ immersione totale nella lettura di diari di ogni tipo e al ritorno un diario infinito di emozione e commozione sull’incredibile quantità di modi diversi di scrivere di sé, sulle motivazioni a tenere un diario, sulla varietà di oggetti scelti per tenere un diario e infine sulla tenacia dei curatori di questa istituzione unica in Italia e forse nel mondo, che da 25 anni raccolgono diari di gente comune. Indimenticabili il diario di Clelia Marchi, ormai un simbolo dell’Archivio, scritto alla morte del coniuge su un lenzuolo matrimoniale del corredo che non avrebbe più consumato con il marito e che a lui dedica; il diario che inizia con “cara giornata” e una frase tratta dal diario di Rosa Maria:
alla fine e all’inizio, dall’altra parte dei fogli non ci sei che tu. Dietro allo specchio”.