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Numero 16



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Loro dove hanno imparato


Le generazioni dei nostri nonni, genitori e zii imparavano il lavoro sul campo. Oggi invece ti chiedono mille pezzi di carta che puntualmente non servono a niente. E si inizia con il valzer del lavoro mordi e fuggi, con gli stage eterni, il precariato...A volte la memoria serve a dis-imparare.

di Simoncella La Flaca Trani

Berlino, 19 novembre 2009

E loro, la generazione di chi oggi ha cinquanta, sessanta, settanta anni, dove hanno imparato? 
Dove hanno appreso le arti del mestiere?
Buone basi, voglia di lavorare, esperienza acquisita con gli anni: questo il mix di ingredienti che ha fatto il loro successo.
E oggi, qual è la ricetta? 
Oggi se non hai un certificato, un qualsiasi pezzo di carta che attesti ogni tua minima abilità in un determinato settore, non vai avanti. 
Devi avere soldi per le varie qualificazioni aggiuntive prima ancora di avere un lavoro che ti dia la possibilità di finanziarle, di finanziare quella che è chiamata formazione continua e che, concepita in maniera sana, sarebbe anche un´ottima cosa.
Non è sempre stato così. Una volta il lavoro lo si imparava sul campo. 
Bisognava avere una base da cui partire, certo, conoscenze, capacità, attitudini, ma il mestiere si imparava davvero solo col tempo, lavorandoci sopra.
Un ingegnere, un insegnante uscito dall´università, possedevano solo gli elementi basilari del proprio futuro mestiere. 
Ma nessuno per questo ha impedito loro di iniziare a lavorare e con risultati e successo. 
A quei tempi si sapeva che un laureato in scienze politiche, visto il tipo di formazione, avrebbe potuto essere impiegato nei settori più differenti, da quello bancario al giornalismo all´amministrazione. 
L´esperienza settoriale sarebbe stata acquisita col tempo.
Un diplomato presso un istituto nautico, senza alcuna necessità di conseguire una laurea, poteva diventare professore di educazione tecnica; un diplomato del conservatorio, professore di educazione musicale; un diplomato ISEF, professore di educazione fisica.
Oggi, all´epoca del processo di Bologna e della “società della conoscenza”, due lauree se non tre, magari conseguite con il massimo dei voti, più un indubbio talento, non bastano a un giovane per essere accettato nel mondo del lavoro, per trovare qualcuno che riponga fiducia in quella persona e nelle sue capacità di crescita, perché anche di questo si tratta, ma questo punto meriterebbe un discorso a parte.
Eppure, a ben guardare, spesso accade che proprio quel giovane, assunto da un ente per un semplice stage fine a se stesso, possieda più competenze del datore di lavoro e sia molto più al passo con gli ultimi ritrovati tecnologici. 
Due esempi su tutti: la conoscenza di una o più lingue straniere e una maggior dimestichezza con i sistemi informatici.
Nessuno mette in dubbio che anche il precedente sistema avesse le sue magagne, ponesse problemi. 
Il sistema attuale però, invece di apportare correzioni laddove necessarie, mantenendo ciò che di buono certamente la precedente struttura possedeva, ha solo creato nuovi e peggiori problemi. 
E la crisi non sta facendo altro che portare inevitabilmente alla luce tali abominevoli errori.

E loro, la generazione di chi oggi ha cinquanta, sessanta, settanta anni, dove hanno imparato?
Abbiamo avuto fino a qualche anno fa un buon, se non ottimo, sistema scolastico?
Abbiamo avuto bravi ingegneri?
Abbiamo avuto giornalisti in gamba e che sapessero il fatto loro?
Io credo di sì.
Quello di cui avevamo bisogno erano miglioramenti, magari di una certa portata, ma focalizzati, non uno sregolato sconvolgimento del sistema.
Ordine e disordine, rivoluzione e reazione: i due poli che insieme fanno un´unità e separati portano al caos.