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Numero 12



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Cara, vecchia lettera


Oggi impazzano email, sms e blog. Tuttavia la forma dell'epistolario mantiene le sue suggestioni. Questa, infatti, la forma letteraria scelta da Paolo Scatarzi e Marco Valenti per dar vita a Un senso alle cose, libro pubblicato da un editore online. I lettori ne parlano anche su apposito blog. Quando il passato incrocia il presente...

di Tiziana Monicchi



Ecco qui un esempio di come vecchio e nuovo, tradizione e innovazione, scrittura manuale e operazioni in rete si mescolino dando vita a un esperimento che possiamo definire ben riuscito.
Paolo Scatarzi e Marco Valenti sono due autori, non giovanissimi (ma solo per differenziarsi dal crescente numero di scrittori in erba…) ma nuovi nel panorama editoriale attuale. 
Perché nuovi?
Per due motivi per lo stile letterario che hanno usato per scrivere il loro libro e nuovi, o meglio inseriti in quello che possiamo definire un circuito “moderno”, perché hanno pubblicato il loro libro con un editore online (www.boopen.it , si può anche richiedere il libro a questo indirizzo), ne parlano e ne discutono con i loro lettori su un blog (cui si accede tramite il sito www.anobii.com) nel quale si scambiano anche consigli sui libri, sulla composizione degli “scaffali” di ognuno in una sorta di biblioteca multimediale sempre in divenire.

Ma veniamo al loro libro, il primo che hanno pubblicato.

Due amici. Amici da sempre, la vita condivisa in ogni momento.
Poi, la rottura, inspiegabilmente decisa da uno dei due, senza ragioni, senza giustificazioni.
Inizia così Un senso alle cose, con uno strappo duro, inequivocabile, ma senza un motivo spiegato, condiviso, che consenta alle ragioni di essere chiarite.
Marcello e Luca (gli alias dei due autori) si ritrovano insieme a cena per salutarsi: Luca parte per un nuovo lavoro in Friuli, rompendo con una vita condivisa da sempre con l’amico Marcello e con Roma, la loro città. 

Ma, all’improvviso la gioia della partenza, la gioia della novità, la gioia di una nuova vita che sta per iniziare (con lui, single da sempre, parte anche Antonella, la sua nuovissima, insperata, compagna) viene stroncata dall’addio di Marcello, che fugge dall’amico di sempre quasi con cattiveria.
Ed è il racconto di come questa amicizia venga ricostruita dai due protagonisti, lo svilupparsi doloroso delle motivazioni, dei perché, il filo conduttore del libro. 
È una ricostruzione lenta, che segue i tempi dello scambio fisico di lettere: lettere con tanto di busta, francobollo, indirizzo in basso a destra. 
Un epistolario in piena regola che, piano piano, porta alla luce il motivo della rottura tra i due, ma che, più profondamente, scopre e riallaccia i legami di un’amicizia cresciuta con i due protagonisti, sviluppatasi negli anni con, sullo sfondo, la loro città e i ricordi legati al quartiere dove, insieme, sono cresciuti accomunati da un vissuto comune composto anche da libri, musica, vini, sigarette che da sempre hanno accompagnato i due (ma anche molti di noi, …enni come i due autori) nei loro diversi stati d’animo.
Il motivo della rottura? Cherchez la femme! 
All’insaputa dei due amici è una donna, “la” donna, la causa di tutto: Antonella che prima ha una relazione di fuoco con Luca e poi, dopo averlo lasciato, parte con Marcello. 
Ma solo Luca è al corrente di tutto: il triangolo è all’insaputa di due dei tre protagonisti.
Lo scambio di lettere porta alla scoperta della verità che fa rinascere l’amicizia ma farà fuggire l’amore: Antonella lascia anche Marcello.
Possiamo aprire un dibattito: Paolo e Marco, che cosa avete voluto dirci? 

Il vostro progetto è maturato nel corso di più incontri in più mesi. Che cosa vi ha spinti a decidere, non essendo scrittori di professione, di scrivere qualcosa in cui, inevitabilmente, vi siete messi così a nudo? 
Nel blog in cui vi ho scovati, parlate di un progetto nato e sviluppato durante molte sere di bevute, di musica, di pizze: quanto avete trasferito di voi, delle vostre vite, nei rispettivi personaggi?
 
Uno dei motivi fu proprio il desiderio di vedere scritti, e descritti, una serie di principi che consideriamo importanti e negletti, oppure svalutati. 
A prescindere dalle idee. 
Giunti (quando scrivemmo) ai nostri 40, ci sentivamo (e ci sentiamo) parte di una “generazione di mezzo”, non più antica, ma non contemporanea. 
Non Sessantottina (in senso lato) e non da Blog. 
Generazione perciò inosservata, che conserva e coltiva il buono del passato, ma che ugualmente apprezza il buono del futuro, cercando, come può, di sopravvivere ai condizionamenti e all’inutilità dei luoghi comuni. 


I vostri modi di scrivere sono, pur nella loro diversità, molto strutturati e tendenzialmente impostati in maniera che definirei classica. 
Come vi ponete di fronte ai nuovi modi di strutturare i periodi? 
C’è una modernità, chiamiamola così, contemporanea, anche nel nostro grido un po’ classico. 
Risiede nello sforzo di non considerare acriticamente buono tutto ciò che si vede e si ascolta oggi nell’ambito della comunicazione, ma valutare. 
Il desiderio è quello di salvare almeno i cardini testuali, che rendono chiaro e inequivocabile il messaggio. 
Un tempo si parlava di incomunicabilità tra generazioni. Oggi siamo allo stravolgimento delle regole semantiche. 
Se l’obiettivo è comunicare, veicolare in maniera opportuna concetti affinchè siano correttamente recepiti, non si può prescindere da una condivisione del mezzo espressivo. 
Il linguaggio è convenzione e su quella poi, si possono impostare esperimenti e novità logiche. Partendo da quella adeguarsi ai cambiamenti. 
La sensazione è che, invece, si navighi in un’anarchia improduttiva, per amore solo consumistico del ‘nuovo purchessia’. 


Perché l’utilizzo della forma letteraria dell’epistolario, quando imperversano chat, sms ed e-mail, tanto per rimanere su strumenti ormai noti a chiunque? 
Le nuove tecniche della comunicazione, cui accenni, hanno ridato valore allo scrivere. 
Le parole scritte, anche i divertenti neologismi, nati dalla pratica, hanno di nuovo importanza nella comunicazione. 
Appuntamenti, sentimenti, accordi, passano di nuovo attraverso lo scritto. 
Come si faceva un tempo, in assenza del telefono. 
Ma le novità lessicali e semantiche e, soprattutto, la fretta dell’uso espongono all’equivoco. 
I blog, i forum, i gruppi di discussione sono pieni di litigi asperrimi, di insulti irripetibili, nati solo dalla fretta e dall’equivoco banale dell’incomprensione. 
Carta e penna richiedono tempo, ma assicurano una comunicazione migliore. Volevamo solo farlo presente a un mondo distratto, per richiamare l’attenzione sul fatto che, quando comunichiamo, di solito, vorremmo anche essere capiti. No? 


Nel libro ci sono vari riferimenti storici alla vita romana, al quartiere di Monteverde, in particolare. Come vivete il vostro rapporto con Roma? 
Paolo detestandola. Anzi: detestando che venga vissuta così male. Marco ancora no. 


Il vecchio quartiere è ancora il “vostro” vecchio quartiere? 
Per certi versi, sì. Assolutamente. 
Se, anziché correre in macchina o in motorino per attendere a mille impegni, facciamo quattro passi e lo percorriamo a piedi, bottega dopo bottega, nonostante i cambiamenti, ritroviamo quel profumo di piccola comunità che ancora è vivo. 
Ciò che cambia siamo noi. Sempre. 
La nostra fretta e la nostra distrazione ci fanno perdere pezzi di identità. 


Perché Marcello, quando parte, decide di andare in Friuli? Forse montagne, natura -un tipo di vita completamente diverso - aiutano a “rompere” certi schemi collegati anche a un ritmo che, inevitabilmente, la città ripropone? 
Certamente è come dici. 
I due personaggi del romanzo sono, nei nostri intendimenti, due stereotipi. 
Ugualmente, i due luoghi in cui essi vivono vogliono essere rappresentativi di due atteggiamenti diversi, nei confronti della stessa vita. 
La scelta è caduta sul Friuli per non proporre il classico luogo da “cartolina”: a Cortina d’Ampezzo non sfuggi dagli schemi di Roma, ma li rinnovi. 


Marcello si auto descrive un po’ come “bastardo”, quel bastardo che le donne conoscono bene e che, purtroppo, amano: moglie, figlio, amante, un lavoro come tagliatore di teste . Non è forse un po’ una descrizione di maniera? 
Marcello è un stereotipo, come ti accennavo prima. Tanto quanto  lo è Luca. 
Con i limiti che ciò comporta. Quindi un po’ di ‘maniera’ era inevitabile. 
Tuttavia, è bene considerare che solo una piccola parte della popolazione italiana si muove nella piena modernità, anche di sbagli, errori e perversioni. 
La gran parte ancora arranca su vecchi stereotipi di vita, restia ad abbandonarli più per noncuranza che per scelta. O, almeno, a noi sembra così. 
Non tutti vivono la piena contemporaneità di internet, pur avendolo in ufficio. 
La televisione ancora detta legge. 


Vini, brani musicali, sigarette, come li avete scelti e come li considerate nella struttura del libro? Come parte della struttura descrittiva? 
Scelti perché piacevano a noi. 
Fanno parte dell’idea …induttiva che avevamo. Vogliono essere una sorta di richiamo al lettore. 
Ci piaceva l’idea di stimolare in ognuno una ricerca dei propri piccoli piaceri dimenticati  o delle proprie origini, certamente delle proprie scelte autonome, fatte pensando, e dedicandosi appositamente del tempo. 
Quel Tempo che manca sempre e che è la vera ricchezza, oggi.