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Numero 8



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Liberi libri

Con i blog molti hanno temuto un ennesimo scossone per il mondo editoriale. Invece non è così. Il web si dimostra capace di discriminare proprio perché la democrazia della rete preferisce i contenuti profondi agli efferimeri sfoghi di qualche narciso, e collabora diffondendo cultura. Senza coercizioni e politiche. Non è poco, vi pare?

di Barbara Ronca


Se Dio vuole, da qualche tempo, ho un lavoro.
Un lavoro precario, sia chiaro: pochi soldi e poche certezze, come si addice a ogni laureato in materie umanistiche che si rispetti.
In cambio, però, ho un sacco di soddisfazioni: perché lavoro, come ogni laureato in materie umanistiche con la testa dura che si rispetti, in mezzo ai libri (da cui, capirete, la mancanza di denaro). In mezzo ai libri, in fondo, io sono felice: perché l’ho sempre saputo che quegli affari magici di carta e inchiostro sarebbero diventati, prima o poi, la mia vita. 

A volte, però, mi capita di pensare di essere capitata in mezzo al mio elemento naturale nel momento storico sbagliato: perché ha ancora senso, mi chiedo spesso, occuparsi di letteratura nell’era dei collegamenti ad alta velocità e della cultura svenduta su internet? 

Ha ancora senso dedicarsi a un oggetto che si sfoglia, si consulta, si tiene teneramente in mano, quando ormai tutto si muove in punta di mouse, quando invece che aprendo un quotidiano si comincia la giornata visitando i blog preferiti?
Quando la rete è diventata un’abitudine quotidiana per molti, quando lo strumento (prezioso, creativo) del blog ha permesso all’uomo comune (e dico uomo nel senso più ampio del termine: perché nonostante le previsioni iniziali, a scrivere blog non sono solo liceali annoiati e introversi, ma anche persone di mezza età) di esprimersi in totale libertà, io ho creduto – come molti – che questo fosse il proverbiale inizio della fine.

Ho pensato che lasciare chiunque libero di dire qualsiasi cosa avrebbe necessariamente dato vita ad un’anarchia ideologica da cui non si sarebbe più tornati indietro. Ho immaginato che il diario on line sarebbe stato il mezzo di scambio di idee (ma anche di informazioni, oggetto molto più codificato delle idee) più diffuso in assoluto, e che questo avrebbe comportato un necessario, inarrestabile, abbassamento del livello medio della possibilità di condivisione della cultura. 

Credevo che, essendo tutti concentrati a raccontare di noi nel nostro diario virtuale, flessibile ed effimero, ci saremmo dimenticati degli strumenti canonici di fruizione culturale; ho temuto insomma, forse con spocchia un po’ accademica, che fosse giunta la fine degli intellettuali come persone in grado di incidere positivamente, e credibilmente, sulla società; che i libri di Joyce o di Cortazar sarebbero stati dimenticati, mentre ci saremmo appassionati alle vicende personalissime, ma forse poco stimolanti, di Debora di Vigevano, o di altri anonimi navigatori della rete.

Invece, come spesso accade, il web mi ha sorpreso, e positivamente: dopo un primissimo momento di entusiasmo in cui chiunque avesse accesso ad un pc collegato ad internet si beava della possibilità di raccontare i fatterelli della sua vita privata, sempre più numerosi si sono fatti gli interventi di coloro i quali, come me, capivano l’importanza di continuare a considerare centrale la cultura così come la conosciamo dai tempi di Gutemberg; di coloro i quali, a differenza di me, hanno immediatamente capito le potenzialità della rete, e in particolare dello strumento del blog, senza lasciarsi fuorviare da previsioni nefaste prive di fondamento.

L’ho già detto: la letteratura, e con essa il suo mezzo fisico di diffusione per antonomasia, il libro, rivestono per me un ruolo quasi sacrale: e girando per blog, mi sono accorta di come essi abbiano trovato sempre più spazio nelle pagine virtuali di non pochi volenterosi. Ho dovuto arrendermi all’evidenza: la rete è sì uno strumento “democratico”, come recita una definizione ormai affermata, ma certo non è (o almeno non necessariamente) uno strumento omogeneizzante o acritico. Anche chi ama il sapere può trovare, girando tra i blog, ampi spazi in cui saziare la sua inesauribile sete. 

Anzi, di più: ho dovuto realizzare che attraverso l’interattività che caratterizza lo strumento del blog, la condivisione della cultura si fa più dinamica, accessibile: in qualche modo – in un modo che dovrebbe rallegrarci tutti – popolare, non elitaria.

Se spesso il libro occupa un posto importante nella stesura di un blog – in fondo, in un blog si parla di sé, di ciò che si ama: e chi ama i libri raramente si lascia scappare l’occasione di citarli, recensirli, o anche stroncarli nel suo spazio su splinder o su blogspot – ho addirittura scoperto, con un deliziato stupore che molto dice sui miei pregiudizi iniziali, l’esistenza di interi blog dedicati ai libri.
Ci sono lettori onnivori e appassionati che hanno realizzato luoghi di discussione aperti e intelligenti, in cui scambiano idee, informazioni, chicche di vario genere con gli utenti che li visitano.
Un esempio: www.iltempodileggere.splinder.com, che dedicando il suo blog alle sole recensioni letterarie autoprodotte rimarca come la passione per la lettura sia talmente bruciante da prescindere i concetti stessi di personale e pubblico: il suo blog è ricco di citazioni, di consigli, di allettanti brani estrapolati da un certo libro. Un lavoro notevole. 

Meno professionale, ma molto amato, il blog di zoe (www.amabilmente.splinder.com) che su anobi.com si firma nientemeno che “ladra di libri”: non solo di romanzi e saggi si parla nelle sue pagine, ma una colonna in cui zoe presenta ciò che sta per leggere si chiama letture in attesa; letture che assaporo tratta del piacere prolungato della lettura lenta, letture incise in me di i testi che cambiano la vita, in un continuo rimando al libro come oggetto di godimento, di amore… e il suo spazio è pieno, inoltre (in una sorta di fratellanza tra sconosciuti che molto mi ricorda quella esibita dalla Tereza kunderiana col suo andare sempre in giro con “un libro sotto il braccio”) di tantissimi link di altri ghiotti bibliofili. Un paradiso. 

Ancora, mi ha stupita la presenza di chi vive di libri, chi insomma ne ha fatto la sua professione, nella rete. Una comunità diffusa quanto agguerrita è quella dei traduttori, ad esempio: una tra tutte, quella che ruota intorno a Bichi (www.entraduisant.splinder.com) e che, in barba ai pregiudizi che vogliono il traduttore lavoratore solitario e geloso dei propri scoop allofoni da sottoporre all’attenzione dell’editore giusto, permette di scambiare informazioni, aiuto, supporto. Se avete problemi a tradurre un’espressione curiosa incontrata nel bellissimo libro ucraino su cui lavorate, non dovete fare altro che scovare il blogger-traduttore giusto: non ne ho ancora trovato uno che non si prodigasse per aiutare i colleghi in difficoltà, o che, nei casi più difficili, non si precipitasse ad attivare un tam-tam mediatico in grado di spazzar via in poche ore qualsiasi dubbio linguistico.

Una realtà forse più prevedibile, ma a suo modo comunque sorprendente, è quella dei diffusori di cultura che, forse insoddisfatti dalla rigidità eccessiva e dalle possibilità limitate di interazioni che offre il classico sito, si concedono l’esperienza più umanizzante e interattiva del blog.
Penso alle case editrici, specie le più piccole, e alle riviste culturali.
Il blog della Voland (www.redazionevoland.splinder.com) intelligente ed entusiasta casa editrice indipendente dal godibilissimo progetto editoriale, è ad esempio gestito in team dall’editrice Daniela di Sora e dalla redazione (tutta declinata al femminile): una manciata di donne che hanno mostrato ai loro lettori come il lavoro di editore si possa svolgere con amore e dedizione, e che, grazie al blog, hanno istituito un filo continuo coi lettori più appassionati. 

Lettori che, proprio grazie allo strumento dei post contenenti anticipazioni e aneddoti, di quel progetto editoriale cui dedicano letture attente e buona parte degli stipendi possono finalmente sentirsi parte attiva. 

Ma anche le riviste si danno da fare: quella con il blog che mi sembra più curato e intelligente è PaginaZero (www.rivistapaginazero.wordpress.com) che, rimanendo fedele alle tematiche trattate nel quadrimestrale cartaceo (l’alterità, le culture dell’Europa orientale, la libertà di espressione, il valore educativo della letteratura “di frontiera”, definizione convincente e dall’innegabile fascino) ha elaborato uno strumento raffinato e straordinariamente ricco con cui interagire commentando.

Forse, però, il fenomeno che più mi ha colpito nella mia ricerca è stato la scoperta di nuove realtà legate all’oggetto libro: la presenza cioè di persone che, sfruttando al massimo, con intelligenza e coraggio, le potenzialità peculiari della rete, ai libri hanno dato nuove possibilità, nuove collocazioni.
Lo sapete, ad esempio, che in rete (www.librinprestito.splinder.com) c’è una ragazza che, se solo glieli chiedete, vi presta i suoi libri? Esatto. I suoi libri. E lei ve li dà in prestito. Senza chiedere nulla in cambio. È sufficiente andare sul suo sito, scegliere, tra le brevi recensioni tra lei proposte, quelle che vi sembrano interessanti, e chiedere di ricevere (tra l’altro, a spese sue) i libri che vi incuriosiscono. 

Voi, da parte vostra, dovete solo rispettare alcune semplicissime regole: impegnarvi a riconsegnare i libri al massimo entro un mese e mezzo (stavolta a spese vostre, ma d’altronde…) e rimandarli indietro, per quanto possibile, “vissuti”: dopo averci lasciato, cioè, un commento, un disegno, una foto… in una recente intervista Franca Berbenni, l’autrice del blog, ha raccontato che questa esperienza l’ha arricchita moltissimo (certo non in senso economico!) perché ogni libro restituito le ha raccontato una storia, le ha dato un’emozione.

Quello che mi sono domandata a questo punto della mia ricerca è stato: perché?
Perché tante persone si prendono la briga di spendere tempo, sacrifici, a volte anche denaro, solo per raccontare al mondo il loro amore per la lettura?
Perché questa difesa di uno strumento in fondo un po’ obsoleto come il libro (secondo molti studiosi, doveva essere proprio l’interattività della rete a soppiantarlo) quest’ondata di appassionati che con invidiabile ottimismo si sono scavati una confortevole nicchia di lentezza, di riflessione, in una realtà, come quella della rete, che sembra correre sempre più veloce?

Ci ho pensato su, e mi è venuto in mente questo: da una parte, credo che, nonostante l’apparente attrito, internet sia il luogo ideale in cui raccontare le proprie idee, le proprie opinioni, dunque in cui parlare dell’esperienza personale per eccellenza, la lettura (Brodskij, Nobel per la letteratura nel 1987, diceva che si può condividere un pasto o un letto, ma non la lettura, diciamo, delle poesie di Rilke). E lo è perché offre a tutti, senza chiedere titoli accademici, uno spazio assolutamente illimitato.
Se voleste, nel vostro blog (che è vostro, e in questo senso in qualche modo sacro, intoccabile: è una delle prime regole non scritte cui attenersi quando si entra in questa realtà), fare un vostro personalissimo, astruso commento parola per parola confrontando la Recherche di Proust e le prime quattro serie dei Simpson, potreste farlo. 

Proprio perché quello è il vostro, intoccabile spazio, nessuno troverebbe da ridire. Certo lo stesso non capiterebbe se cercaste di far pubblicare una simile opera in una storia della letteratura di prossima commercializzazione presso un grande editore, vi pare?
Se poi trovaste anche qualcuno interessato alla vostra idea, quel qualcuno potrebbe leggerla e, addirittura, commentarla.
Ed è qui che entra in gioco il secondo, importantissimo fattore di successo dello strumento del blog: nella rete, cioè, lo spazio non è solo illimitato: è condiviso.
Di qualunque cosa decideste di parlare, qualunque consiglio di lettura aveste intenzione di chiedere, trovereste sicuramente qualcuno pronto ad interagire con voi.
E in fondo, non è a questo che serve la cultura, a creare spazi di scambio, di dialogo, di confronto?
Non è questo che da sempre cerca di fare la critica più illuminata, quello di cui sentiva la mancanza ogni scrittore che si sia confrontato, nel passato, con lo strumento unidirezionale del foglio bianco?

Il feedback che riceve chiunque si occupi di letteratura nel suo blog non è un aspetto del meccanismo culturale: è esso stesso cultura.
Perché se c’è qualcosa che era apparso evidente ben prima dell’era di internet, e che ora diventa assolutamente centrale in ogni discorso culturale che tenga conto dei tempi, è che lì dove non c’è dialogo, la cultura non esiste: c’è, al limite, una diffusione della conoscenza dall’alto, un’imposizione culturale. 

E se è vero che la storia si ripete, possiamo essere ottimisti rispetto alla vigente democratizzazione culturale: perché ogni tirannia culturale, il passato lo dimostra, ha portato sempre a un fallimento storico. E ogni forma di baratto culturale, di dialogo, di interazione, crea, necessariamente e inevitabilmente, una società più giusta e saggia. La letteratura, d’altronde, diceva ancora Brodskij, è una grande “maestra di finesse umana: la più grande di tutte, sicuramente migliore di qualsiasi dottrina”.