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Numero 6



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Le mani di Edward

Edward Mani di Forbice
è una straordinaria fiaba moderna in cui gli elementi tradizionali migrano sul grande schermo senza perdere nulla delle classiche suggestioni. Tim Burton racconta l'eterno tema della creatura diversa, orfana, straordinariamente sensibile. Dalla sua ferita, nasce anche il suo dono...

di Kusanagi
motokomajor@yahoo.com

"Don't Judge a Book by His Cover"
The Rocky Horror Picture Show


Ci voleva il genio inconsueto, dolce e malinconico di Tim Burton, per raccontare la fantastica e triste storia dell'uomo dalle mani di forbice, creato un giorno da un anziano inventore che, un po' dottor Frankenstein e un po' Geppetto, decise di dar vita a una macchina, materializzando così il sogno di tramutare un robot in un essere vivente, dotato di pensiero e di coscienza di sé, ma soprattutto di un cuore e di un'anima, un cuore che lo avrebbe fatto soffrire come capita a tutti noi umani, ma capace anche di farlo gioire, e sorridere, e un'anima capace di fargli sentire di esser vivo perchè finalmente amato, perchè non più solo.
Raccontato come una favola della buonanotte agli spettatori, la storia del film prende le sue mosse in un piccolo villaggio, mentre la neve scende copiosa dal cielo, e lo spunto narrativo da cui nasce è una di quelle innocenti domande che solo i bambini sanno porci, a cui noi adulti rispondiamo ricorrendo alla fantasia, perché la realtà è troppo piatta, e monotona, per esser rivelata a coloro che ancora ignorano, nella innocenza dell'età, quanto possa esser crudele ed arido il cuore degli uomini, soprattutto quelli ai quali l'età adulta ha portato via i sogni e il sorriso dell'infanzia.

E così, magicamente, prende vita sotto i nostri occhi la fiaba di Edward Mani di Forbice, con una nonna dai capelli imbiancati che comincia a raccontare la sua storia, a fianco dell'enorme letto dove la ascolta la sua nipotina, sepolta sotto la sua enorme coperta, grande come può esserlo solo agli occhi di una bimba piccina piccina, per spiegarle il motivo per cui d'inverno nel suo villaggio cade la neve.
La vicenda del pupazzo di carne e ossa, ma dalle mani di forbice, comincia in un sobborgo americano qualsiasi, molto simile a un piccolo villaggio da fiaba, abitato da persone qualsiasi che fanno lavori qualsiasi, ma con una singolare particolarità, e cioè quella di avere un sinistro castello gotico sulla collina in fondo alla strada, quasi come se fosse un'astronave atterrata lì dalla lontana Transilvania, proprio come la villa di Frank'n'furter di The Rocky Horror Picture Show, pellicola con cui Edward Scissorhands ha in comune sicuramente la tematica della diversità, e un protagonista “alieno” rispetto all'ambiente che lo circonda.

Nella tranquilla cittadina con le case dai colori pastello, Peg, madre di famiglia nonché dimostratrice di prodotti di bellezza porta a porta, spinta un giorno dalla scarsità degli affari e dalla sua ingenua intraprendenza, si avventura fin dentro al tenebroso castello che, dapprima tetro ed abbandonato, si rivela pian piano come un luogo avvolto da un'atmosfera magica, con un giardino che pare animato dalle creature d'erba che lo abitano, vere e proprie sculture, frutto del talento di un artista sconosciuto.
Ben presto, penetrata nel castello spettrale e in totale abbandono, fa un'incontro che cambierà la vita sua e di tutte le persone che le stanno intorno: conosce infatti l'unico abitante rimasto nel castello, una bizzarra creatura dal carnato pallido e dai capelli corvini, con uno sguardo da Pierrot triste, e con dei terribili cespi di forbici al posto delle mani, Edward.
Lui le racconta la sua storia delle sue origini e di come sia stato creato da un anziano inventore, e di come la morte gli abbia impedito di completarlo dotandolo di un paio di mani come quelle di tutti.
Mossa a compassione dalla solitudine della creatura e spinta da un'insopprimibile istinto materno, decide di accoglierlo nella sua casa, e di fare il possibile per toglierlo dalla sua triste condizione, cercando di farlo accettare dalla comunità del villaggio, subito curiosa nei confronti del nuovo arrivato dall'aspetto così insolito.
Il nuovo arrivato, dopo un iniziale sospetto, anche grazie agli sforzi della padrona di casa viene accolto con interesse sempre crescente dalla piccola comunità del villaggio, per quell'elemento di novità e di insolito che spezza il consueto tran tran quotidiano dei mariti che partono per il lavoro alla mattina e delle casalinghe che passano il loro tempo tra shopping, il parrucchiere e le chiacchiere tra amiche.
Interesse che cresce quando Edward mostra le doti che le sue inconsuete estremità gli consentono, inizialmente solo come abile e creativo giardiniere, poi come coiffeur per cani, per finire con il ruolo di raffinato parrucchiere per signora, al punto che nessuna delle signore può fare a meno di adottare il suo stile di pettinatura bizzarro e singolare.

Ciò che da subito salta agli occhi è proprio la divisione tra ciò che la creatura Edward sa fare, ovvero la sua capacità creativa, e il suo aspetto esteriore mostruoso e deforme, come a voler sottolineare uno dei temi principali del racconto, e una delle sue morali: il valore delle azioni al di là delle parole e dell'inganno che spesso si nasconde dietro l'aspetto fisico, che non può essere preso come metro di giudizio per giudicare un qualsiasi essere vivente, nel bene ma soprattutto nel male.
Come nella Bella e la Bestia, fiaba che riecheggia in quella di Tim Burton, il vero mostro è rappresentato dall'antagonista “umano” di Edward, nonché suo rivale in amore, che rappresenta il genere umano nel suo lato peggiore, e quindi in tutta la sua falsità, arroganza e violenza, mentre per contro la creatura è di animo gentile e sincero, fondamentalmente buono anche se certamente irrazionale e istintivo in alcune sue reazioni.

I problemi per il nostro eroe sorgono proprio nel momento in cui, oltre che essere un oggetto curioso da ammirare o uno strumento da utilizzare per il proprio personale divertimento o piacere, comincia a mostrare di avere propri sentimenti e desideri, in particolare quando si rende conto di aver trovato il suo amore, e quindi idealmente la sua principessa, visto che di fiaba si tratta, ovvero Kim, la figlia adolescente di Peg. Lei dapprima non capisce i sentimenti di lui, abituata com'è a giudicare superficialmente, con gli occhi e non con il cuore, e a considerare l'amore come un sentimento giocoso, da non prendere troppo sul serio, un modo per sentirsi corteggiata ed essere al centro dell'attenzione, atteggiamento più che normale data la sua giovane età, e forse proprio il fatto di non esser più il centro dell'attenzione nella famiglia la indispettisce ancor di più nei confronti del nuovo arrivato.

Ma poi impara ad apprezzarne la vera natura, andando al di là del suo aspetto esteriore, e riesce a vedere in lui la generosità di un animo nobile e gentile e la purezza di cuore, purezza degli innamorati che viene rappresentata in una delle scene più toccanti ed evocative del film, in cui per la prima volta Edward “crea” la neve: infatti, alla vigilia di Natale, mentre tutti si dedicano ad addobbare i giardini, Edward con il suo estro creativo concentra le sue lame su un blocco di ghiaccio, creando una scultura di un angelo con il volto della ragazza, e generando di conseguenza una pioggia di neve intorno a sé, una candida neve in cui Kim comincia a danzare, ispirata dalla magia del momento.


Anche lei comincia così a comprendere quali sono i suoi veri sentimenti, e per il nostro eroe cominciano i guai, perchè in tal modo attira verso di sé l'odio del fidanzato di lei, Jim, si scontra con la sua malvagità e i suoi pregiudizi, e di conseguenza anche con quelli di tutti gli abitanti del villaggio, che gli voltano rapidamente le spalle per il suo aspetto esteriore “mostruoso” e per la sua fraintesa pericolosità, montata ad arte dal suo antagonista in amore.


Amareggiato dalla sfiducia e dal pregiudizio delle persone attorno a lui, ad eccezione della famiglia che l'ha accolto, decide quindi di rifugiarsi di nuovo nel suo castello, luogo in cui però fatalmente gli eventi precipitano, perché nel tentativo di difendersi dall'assalto del fidanzato di lei, che l'ha seguito con il preciso intento di eliminare il “mostro”, Edward finisce per ucciderlo gettandolo dalla torre del castello.

Quando la folla inferocita giunge al castello, in una scena che è un esplicito omaggio al mito di Frankenstein, il dramma si è già compiuto e il destino del nostro eroe è segnato: la solitudine diviene l'unica possibilità per continuare a vivere per Edward, un esilio reso sopportabile dal romantico e struggente ricordo della sua amata, che per placare l'ira della folla mostra un cespo di forbici, facendo loro credere che il “mostro” sia morto nel crollo del tetto.

Profondamente significativo a nostro avviso è il fatto che lei scelga proprio di mostrare la parte anatomica di Edward che rappresenta la sua anomalia, perché simboleggia la percezione che hanno di lui le persone estranee, quelle che non lo comprendono o non vogliono comprenderlo, barricate dietro ai loro pregiudizi, riconducendo la complessità dei sentimenti e la profondità di una persona alla banalità di un mero tratto somatico. Proprio quelle forbici al posto delle mani che rappresentano efficacemente l'incapacità del protagonista di afferrare o possedere alcunché, siano esse cose o persone, caratteristica che permette al regista di mettere in evidenza il suo modo d'amare, il più puro, perché privo del desiderio di possedere l'altro, ma spinto solo da quello di donare se stesso.

Al di là dei significati che vi si possano trovare, la magia della fiaba così magistralmente raccontata da Tim Burton ci restituisce intatto il fascino dei racconti attorno al focolare, e ha l'incanto delle storie che fanno restare a bocca aperta i bambini di fronte ai genitori o ai nonni mentre questi svelano loro strabilianti segreti e dischiudono mondi fantastici, e fa nascere in noi adulti che la ascoltiamo quello stupore fanciullesco che pensavamo dimenticato, che ci riporta indietro nel tempo, nel periodo in cui ancora credevamo a Babbo Natale, e in cui ogni nevicata era fonte di gioia e di meraviglia.
Merito della riuscita della storia va certamente attribuito anche all'interpretazione di Johnny Depp, che nei panni del protagonista riesce, con una mimica facciale ispirata ai grandi del muto come Charlie Chaplin, ad esprimere pienamente la gamma dei sentimenti di Edward e a dare intensità e spessore al suo personaggio.
Per le atmosfere della pellicola, oltre che alle scenografie ideate da Burton, bisogna ringraziare la partitura musicale di Danny Elfman, certamente una delle più ispirate del sodalizio con il regista (a cui si deve anche un'altro gioiello come Nightmare before Christmas), e che qui contribuisce in maniera decisiva ad impostare e a sottolineare il tono romantico, struggente e fiabesco del racconto.
Vale la pena infine di spendere le ultime parole per ricordare la grandezza di un attore come Vincent Price, qui in una delle sue ultime apparizioni sul grande schermo, vero e proprio attore feticcio e fonte d'ispirazione per l'opera di Burton, che con pochi tratti e poche battute, con le sue espressioni sa donare vitalità e poesia al personaggio dell'inventore, silenzioso demiurgo di tutta la vicenda, creatore della singolare e gentile creatura nota al mondo come Edward Mani di Forbice.

Kusanagi
www.lavitaenientaltro.splinder.com

Per approfondimenti sul film:
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=28546
http://www.cineblog.it/post/4125/cineblog-consiglia-edward-mani-di-forbice
http://www.timburtonline.com/
http://it.wikipedia.org/wiki/Tim_Burton