torna alla homepage

Numero 5



Feed RSS

Archivio

                                                                                                     stampa questa pagina [versione printer friendly]

La memoria sommersa 




Il conflitto civile in Somalia è stato dimenticato presto. Il mondo Occidentale oscilla infatti  fra l'ignoranza e l'oblio. Eppure ci sono tante guerre che non fanno scalpore. Sono quelle che solitamente accadono in luoghi che non muovono urgenti interessi economici. 

di Raffaella Sirena  
raffaellasirena@hotmail.com

 

Da oltre sedici anni la Somalia è devastata da una guerra civile che appare irrisolvibile e che, purtroppo, trova nei media uno spazio del tutto marginale, in quanto l'attenzione degli organi di informazione è rivolta verso tutti quei conflitti che, al contrario, riguardano ben precisi interessi politici e geo-strategici. In questo senso, il caso somalo è senz'altro riconducibile alla categoria delle cosiddette “guerre dimenticate” ovvero di tutte quelle realtà, che interessano prevalentemente le aree periferiche dell’Africa e dell’Asia, nelle quali si assiste alla proliferazione incontrollata di lotte intestine, che non sono altro che sfide portate a fragili autorità nazionali da parte di movimenti insurrezionali armati. 

Indubbiamente, l’indebolimento dell’ordine politico e sociale che si è venuto a determinare in Somalia, così come in molti altri Stati dell’area sub-sahariana, è il frutto della mancanza di capacità ed efficacia da parte delle istituzioni pubbliche. Per molto tempo gli esperti di politica si sono interrogati sulle motivazioni del mancato raggiungimento di standard minimi di organizzazione democratica da parte di alcuni degli Stati usciti dalla fase di decolonizzazione.

Ovviamente non esiste a questa domanda una risposta univoca. Piuttosto, a generare questa situazione di caos concorrono un’insieme di cause, quali la scarsa legittimità interna dovuta alla peculiare organizzazione sociale, la condizione demografica strutturalmente poco favorevole e, non da ultimo per importanza, il mancato sviluppo economico. Con la caduta del regime dittatoriale di Siad Barre nel 1991, la Somalia viene trascinata in una spirale di violenza che vede la contrapposizione delle principali famiglie claniche, interessate all’affermazione del proprio potere. In questa fase la guerra prosegue per diversi mesi nella totale indifferenza internazionale, poiché tutta l’attenzione dell’opinione pubblica è completamente assorbita dalla guerra del Golfo e dalla crisi jugoslava. 

Nonostante l’elevato numero di vittime lo spazio dedicato dai mass media ai fatti somali è del tutto limitato. Tuttavia, ancora più preoccupante del disinteresse generalizzato risulta l’incapacità della comunità internazionale di fornire soluzioni appropriate. Da questo punto di vista si appesantiscono le responsabilità del mondo occidentale, dimostratosi inadeguato a ristabilire la pace e l’ordine nel paese africano con il fallimento delle due missioni svolte dalle Nazioni Unite. Ma, a seguito dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, è venuta a cambiare radicalmente la percezione degli organi informativi nei confronti della crisi somala dal momento che, secondo fonti dell’intelligence americana, nella zona del Corno d’Africa si ipotizza la presenza di cellule terroristiche della rete di Al Qaeda. 

Nelle ultime settimane si è tornati a parlare della Somalia e delle migliaia di vittime che questo annoso conflitto continua a mietere. Al di là di tutte le considerazioni sulla giustizia e opportunità degli interventi di agenti esterni nella crisi somala attraverso l’uso della forza, la risposta eticamente più adatta, per contribuire al raggiungimento della pacificazione, resta il mantenimento e perseguimento degli impegni di aiuto allo sviluppo. Se si guarda al lungo periodo è soprattutto sui temi dello sviluppo integrale (ad esempio educazione, salute, commercio equo-solidale, lotta alla povertà) che si gioca la vera sfida, la vera guerra preventiva da condurre.