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Numero 5



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Good morning Iraq




Durante la guerra nel Golfo, il blog iracheno di Salam Pax è diventato un punto di riferimento per il pubblico e per i giornalisti. Un cittadino qualunque, davanti a un computer, riesce a narrare la guerra "invisibile" facendole fare il giro del mondo...

di Simona Taborro 
simonadreca@yahoo.it

 


«Mi chiamo Salam Pax e sono un blog-dipendente. C'è chi guarda le telenovelas, io guardo i blog. Seguo i link dei blog che leggo. Viaggio nel web guidato dai blogger. Mi lascio coinvolgere dalle storie che raccontano. [..] è una sorta di voyerismo, soprattutto quando si tratta di blog molto personali: cose di tutti i giorni, terra terra, ma davvero affascinanti; sprazzi di vite così diverse, scritti in modo stupefacente. [...]
Non avevamo nemmeno accesso ai siti che fornivano mail o spazio web gratuiti [...] ma il bello di internet è che non è mai statico, cambia continuamente. Ci sono sempre nuovi siti, che offrono ogni sorta di servizi, e quelli che gestivano il firewall non erano sempre aggiornati. Ne sapevano quanto noi, era una specie di gara. Usavamo un certo webmail service finchè bloccavano il sito, poi ci rimettevamo di nuovo a caccia. Bisognava essere un po' creativi nelle parole di ricerca e armarsi di pazienza. [...] Era una specie di gioco del gatto col topo.
Fu durante una di queste ricerche che scoprii i blog. Grazie ai blog, il web cominciò a parlarmi in modo molto più personale. Le notizie assumevano consistenza e, sorprendentemente, i blog parlavano fra loro...» (Salam Pax, Baghdad Blog) 

Così si introduce l’autore di questo libro, che poi non è nato come libro, ma come blog. Nel raccogliere i frammenti della sua vita di poco precedente all’inizio della seconda guerra nel golfo e subito dopo.
Come è stato giustamente sottolineato da Giovanni De Mauro nella prefazione al libro, quello di Salam Pax non è solo uno sfogo personale, lo sfogo d un architetto omosessuale iracheno, ma anche una critica al giornalismo tradizionale. Leggendo i suoi commenti alle “news” non manca mai di stupirsi della poca precisione delle informazioni offerte. Ma la critica è anche al desiderio di “scoop”. In un post scrive: «Un reporter della BBC:"Sembra che gli iracheni fingano che tutto sia normale". Ascolta bello, cosa dovremmo fare? Correre per le strade piangendo disperati?» (9 marzo 2003).

Molti hanno dubitato dell’esistenza di questo ragazzo iracheno, troppo simile a noi con il suo amore per la musica occidentale (Prodigy, Massive Attack), con i suoi ricordi di cartoni giapponesi (Conan, il ragazzo del futuro, serie tv del maestro Miyazaki), con l’impazienza di vedere il nuovo film degli X-mem, le serie televisive (Dharma & Greg e Seinfeld). Non poteva essere un ragazzo iracheno, in nulla questa immagine che lui dava di se stesso coincideva con quella che l’immaginario mediatico occidentale ci dava degli iracheni. Scuri, fondamentalisti, rigidi...La lotta tra sciiti e sunniti, lotta? Il padre di Salam è sunnita, la madre è sciita. Salam sceglie con chi passare le feste secondo chi offre il menù migliore o cucinato meglio... «Mi sembra di essere la personificazione del tradimento culturale. Uno svenduto totale, e la cosa mi spinge a contraddirmi di continuo. Ti ricordi quella sera che abbiamo passato al Books@café, quando hai riso di me perchè ti ho detto che sono convinto di essere il prodotto di una cultura arabo/mussulmana? Mi hai ricordato che due minuti prima ti stavo dicendo quanto fossi felice di guardare MTV Germany e di comprare libri inglesi al Virgin Megastore di Beirut» (21 dicembre 2002). Sulla sua condizione di traditore continua a riflettere anche nei giorni successivi: “Un tempo, pensavo che una delle cose migliori che mi era successa fosse di non avere radici in nessun posto. Mi sebrava di sentirmi a casa ovunque andassi. [...] Ma le cose sono cambiate. Oggi sono costretto a identificarmi con qualcosa in cui non credo pienamente. Basta un nome, un passaporto, e vengo subito accomunato a persone e cose a cui non ritengo di appartenere» (29 dicembre 2002). Per quanto critico nei confronti della sua cultura, nel momento del pericolo riscopre le sue radici. Ma le radici non si trasformano in un fanatico fondamentalismo religioso, ma in amore per una cultura, con la sua arte, la sua cucina. Sono toccanti i post successivi all’entrata dell’esercito americano a Baghdad in cui Salam quasi piange perchè sono stati derubati i musei delle loro opere.

E i dubbi sulla sua identità giungono anche alle orecchie di Salam che le commenta con un tono derisorio: «è più sexy essere un tranello della CIA o uno strumento della propaganda?» (29 ottobre 2002). Lui che ha iniziato a scrivere per comunicare con il suo amico Raed che in quel momento si trovava in Giordania.

Cominciano a girare in rete le notizie della risoluzione ONU, nessuna tv irachena ne parla, ma tutti si preparano a fare scorte. Salam commenta: «è buffo: il mondo vede la pace, ma io devo allestire un rifugio antiaereo in casa mia. Se avete bisogno di me sono nascosto sotto il letto, finché non è finita» (9 novembre 2002). Ma un paese non si ferma per il timore di una guerra imminente. La vita quotidiana continua, con il lavoro, la pulizia della cosa, nulla utile per uno “scoop”. 

In  una lettera aperta ad un suo commentato, Al (lo stesso che ipotizzava che fosse un infiltrato della CIA), Salam scrive: «Capisco il tuo punto di vista. Ma ho anche il diritto di avere un’opinione diversa (beh, almeno qui su Internet) e non posso restarmene qui a dire: "Avanti, dateci dentro con le bombe!". Perchè, nonostante tutto quello che dici [si riferisce all’idea della guerra umanitaria], continuerò a considerare ciò che sta succedendo, e la probabilissima guerra, come una parte del meccanismo con cui gli USA cercano d’imporre il proprio controllo all’estero. [...] So che la guerra è inevitabile, e che niente di ciò che hai detto era inteso come un attacco personale nei miei confronti, e so anche che Saddam è un pazzo con il dito sul grilletto. Ma questo è l mio paese, e io amo la sua gente. Non mi convincerai mai che la guerra è accettabile» (15 novembre 2002). 

Le sue critiche sono verso la guerra, all’idea di risolvere i problemi attraverso l’uso della forza. Le sue preoccupazioni sono per i civili, per tutte le persone comuni, che hanno sofferto sotto il regime di Saddam e ora dovranno anche rischiare la vita e la casa. Le sue critiche toccano tutti, scudi umani (umanitari e pacifisti) compresi. «Comunque, la cosa che mi ha fatto veramente incazzare è che gli scudi umani ricevono [dal governo iracheno] tre buoni pasto al giorno di 15.000 dinari l’uno. 15.000! Sapete quanto vale la razione alimentare mensile di una famiglia di quattro persone, e parlo di un mese intero, non di un pasto. 30.000 dinari» (21 febbraio 2003). Il 6 marzo gli scudi umani, attraverso il portavoce John Ross, si lamentano che il governo iraniano non vuole dargli da mangiare. Ecco come commenta la notizia nel blog Salam: «Un attimo mi asciugo le lacrime. Via di qui! Via di qui! Via di qui! Avrebbe almeno dovuto sforzarsi di dire qualcosa più in linea con le "alte motivazioni morali" della sua lotta. [...] Siete venuti da volontari ad "aiutare" una nazione che non riesce neppure a sfamare decentemente la sua popolazione (beh, ci riuscirebbe se spendesse un po’ meno per gente come voi)» (6 marzo 2003).

Salam comincia ad essere un punto di riferimento per avere un occhio sulla situazione a Baghdad, ma lui con il suo gioco, con la sua voglia di comunicare, rischia grosso. Ecco come reagisce, quando scopre di esser stato citato da un giornalista: «per favore ricordatevi che non sono un’autorità in nessun campo. Citarmi, come ha fatto un giornalista, mi rende nervoso: Salam dice questo, Salam dice quest’altro...i grandi media mi fanno paura. I guai sono sempre in agguato. Spero che l’articolo non facesse parte dell’edizione stampata: quello sì che mi fa paura. Ma sono di pessimo umore, e so che rimpiangerò di aver scritto questo post» (14 febbraio 2003).

In mezzo ai preparativi per la guerra imminente, sempre rimanendo consapevole del pericolo, il nostro Salam gioisce perchè ha avuto un programma che gli permette di scrivere in arabo, scherza sull’idea di creare un concorso per decretare il miglior blog arabo, fa un sondaggio per “scommettere” su quando inizieranno i bombardamenti. Intanto internet comincia a funzionare sempre più ad intermittenza, i dinari rispetto al cambio con il dollaro oscillano in modo vertiginoso (per questo molti negozianti preferiscono non rifornirsi), i black-out elettrici sono sempre più frequenti e durano fino a 5 ore.
«Mi sembra di essere sul Titanic, sapendo già quello che succederà» (3 gennaio 2003).

Col passare del tempo la guerra si fa sempre più visibile, siamo intorno alla metà di gennaio, non sono più dichiarazioni ufficiali più o meno ignorate dalla popolazione civile, ma sacchi di sabbia (trincee) lungo le strade, file per l’acquisto di scorte alimentari. In marzo cominciano le prove per le cortine di fumo intorno a Baghdad, il nostro Salam decide di comprarsi una maschera antigas.
Il 20 marzo scade l’ultimatum e nella notte si iniziano a sentire i colpi della contraerea. Salam non può postare, ma continua a scrivere, giorno per giorno e anche più volte in un giorno, il 7 maggio Riverbend, una sua amica, riceverà da lui ciò che ha scritto in un unico file e pubblicherà tutto sul suo blog. Anche gli amministratori di Blogspot lo aiutano come possono, aumentandogli lo spazio.
«Tutta la mattina è trascorsa a spazzare il casino creato dalla tempesta di sabbia-pioggia-e-ancora-sabbia. Si scopa al ritmo dei bombardamenti. È diventata la colonna sonora della nostra vita. Ti alzi al suono dei bombardamenti; ti lavi i denti al ritmo del rat-ta-ta-ta dell’antiaerea. Poi c’è l’attacco, sempre puntuale per l’ora di pranzo» (27 marzo 2003).
Gli animi della popolazione si fanno sempre più ostili, tanto verso il governo iracheno, quanto verso quello americano. Umanitaria o no, questa guerra sta facendo cadere bombe sulla loro testa. La loro vita continua, ma con una consapevolezza maggiore della precarietà.

In breve, in un’epoca di guerre trasmesse in diretta, di sovrabbondanza di notizie, il successo del blog di Salam sembra indicare un bisogno che i grandi mezzi non riescono a soddisfare, il desiderio di vedere con occhi umani vicende umane...