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Numero 5



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Salvate i soldati Ryan 





Il cinema da sempre ha raccontato i conflitti bellici con le loro storie di drammi umani, individuali e collettivi. Ma negli ultimi anni i capolavori - nei film di genere – si sono diradati. Sembra quasi che la guerra vista in televisione – o sui video diffusi da Internet – sia diventata un fatto tecnologico, privo di storie…

di Fabio Fontana
passalapalla@virgilio.it
 


Da diversi tempo, ormai, le potenzialità espressive del linguaggio di celluloide nella rappresentazione di un qualsiasi evento bellico sono da ritenersi sostanzialmente esaurite. 

Tramontata la grande stagione dei film di propaganda patriottica, ancorati ad una visione del mondo dicotomica, in perfetta simmetria tra un “noi buoni” e un “ loro cattivi”, e messa in archivio la successiva fase del riesame psicologico, della riflessione antimilitarista, delle “ragioni dei vinti” e delle “colpe dei vincitori”, la sensazione che si sia raschiato il fondo del barile è davvero forte. 
Nelle programmazioni degli ultimi anni, infatti, neppure i guizzi isolati di alcuni rari capolavori, ad esempio il meraviglioso La sottile linea rossa di Terence Malick (1998) o il recentissimo, impeccabile  Letters from Iwo Jima di Clint Eastwood, sembrano aver apportato delle autentiche novità ad un genere ampiamente sfruttato. Il pubblico dell’ Occidente sazio ed evoluto, inoltre, è sempre meno attratto dalla proiezione sul grande schermo di quell’ immane tragedia collettiva e individuale che è la guerra.

La conferma giunge puntualmente dagli incassi dei biglietti venduti, quasi ovunque al di sotto delle aspettative. Le trame delle pellicole di argomento bellico, focalizzate su vicende giudicate lontanissime dalla propria quotidianità, vengono perciò liquidate con disinteresse dallo spettatore medio. 
E’ pur vero che in altri paesi, come gli Stati Uniti, la guerra esercita una diversa pressione sulla coscienza nazionale, per il semplice fatto che c’è e viene combattuta. Tuttavia, a causa del carattere assolutamente inedito delle modalità con cui essa si impone sulle sue vittime- tecnologia, terrorismo, mancanza di visibilità del nemico, - risulta quasi impossibile narrarla cinematograficamente con la giusta chiarezza e di conseguenza percepirla nella stessa misura. Insomma se da una parte i conflitti del passato appaiono abbondantemente datati, e sostanzialmente archiviati nel dimenticatoio, quelli attualmente in corso sono tutt’al più di difficile lettura, destinati magari alla spettacolarizzazione rapida e in presa diretta di internet e dei mezzi di informazione televisiva. 

Naturalmente le precedenti osservazioni non valgono per pellicole dove l’ idea di guerra e la sua storicità sono così diluite nel ricorso ad una dimensione di antichità fittizia e favolistica da essere un puro pretesto per la rappresentazione di violenza e di eros a buon mercato. 
E infatti è proprio di questi giorni la trionfale cavalcata ai botteghini di mezzo mondo di 300, il film incentrato sul sacrificio di improbabili greci culturisti alle Termopili, nel tentativo di arginare l’avanzata di altrettanto fumettistici persiani. 
Insomma, gli “homines videntes” del Nuovo Millennio non disdegnano affatto qualche ettolitro di sangue che sprizza generosamente dalla spade spartane, e assistono oltretutto con indifferenza trasognata, se non di buon grado, al quotidiano scempio delle immagini -vere- di corpi dilaniati dalle bombe nei mercati della Bagdad di turno. 
Quello che non riescono o non vogliono più fare è invece immedesimarsi in sceneggiature che parlino di soldati dispersi al fronte o di civili costretti a razionamenti e coprifuochi. 

La guerra, specializzazione settoriale di una esigua minoranza della società moderna, è divenuta gradualmente un altrove, un non più, un non qui. Mentre i nervi scoperti dell’ immaginario comune sono sensibili alla violenza domestica, agli scontri inter- etnici delle periferie degradate, ai conflitti generazionali o infine alla follia senza spiegazione. 
Il film di guerra “classico” perde in questo contesto qualsiasi funzione didattica o pseudo-didattica che giocoforza contiene in sé: non sa incitare alla lotta, non denuncia, non accusa, è destoricizzato, amorfo.
In conclusione pare di capire che nelle città dell’eterno presente si continui a lottare e morire unicamente in tempo reale. 
Lontano, molto lontano, quindi, dai campi di battaglia.