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Numero 4



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 Il nuovo che avanza










Giampaolo Rossi è presidente di Rai Net. Si occupa di nuove tecnologie all'interno di un'azienda Rai che prospetta scenari molti interessanti nello studio e nell'utilizzo dei nuovi strumenti da affiancare a quelli vecchi, "tradizionali". 
Giampaolo è giovane, fa parte di una generazione che contribuisce allo svecchiamento di un certo clima un po' parruccone e inamidato, che a volte affligge i corridoi e le stanze della Rai. Luoghi "di potere"  dai quali lui, generosamente, mi salva, invitandomi fuori per l'intervista. 
Gentile, attento, si dimostra come sempre equilibrato e lucidissimo nelle sue risposte...

di Francesca Pacini


Partiamo dalle origini. Cerchiamo la sopravvivenza eventuale di un legame tra gli antichi sistemi simbolici di scrittura e comunicazione, e quelli moderni. Gli ideogrammi usati anticamente somigliano un po’ ai codici espressivi degli sms, attraverso la sintesi concettuale degli emoticons e delle sigle? 

Forse sì. In realtà il problema è dato dal fatto che, nonostante l’invenzione della scrittura, la cultura è rimasta inserita in una dimensione orale per lungo tempo. Orale era prevalentemente la grande produzione classica (Iliade e Odissea mantengono una struttura interna legata all’oralità); ad una funzione prevalentemente orale erano indirizzati i codici miniati e gli incunaboli. E’ la rivoluzione tipografica a consentire l’effettivo passaggio da una tradizione orale di trasmissione del sapere ad una definitivamente scritta. Oggi ci troviamo in una fase di passaggio assai simile ma con un flusso opposto. La società dei mass media ha contribuito a reintrodurre forme di oralità nella nostra cultura. Radio e televisione hanno svolto una funzione di ritorno dell’orale che però non ha intaccato il ruolo della scrittura. Ma è la multimedialità che sembra introdurre un nuovo modello sensoriale che mescola scrittura, suono, immagine, e modifica inevitabilmente la staticità della scrittura. Credo sia un errore isolare i codici espressivi valutandoli singolarmente. Penso che, più in generale, le giovani generazioni saranno immerse in una pluralità di codici espressivi che amplificheranno la sensorialità in maniera multimediale.


Hai citato i codici espressivi. A questo punto, parlando di linguaggio, è impossibile non sostare sul libro, che ha finora rappresentato il vero strumento di trasmissione e conservazione del sapere dopo il declino delle tradizioni orali del mondo antico. 

Al di là dei pronostici apocalittici, è indubbio che la parola su carta venga messa in crisi dai nuovi sistemi di comunicazione. Quale la reale proporzione di questa crisi?
E’ sempre molto difficile definire le proporzioni nei processi di trasformazione in atto; è però indubbio che la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo impatterà in maniera irreversibile sui tradizionali strumenti di conoscenza e di trasmissione del sapere. Gli studiosi di ipertestualità e di nuovi linguaggi usano spesso, come esempio, una scena famosa descritta da Victor Hugo nel suo Notre Dame de Paris: il terribile arcidiacono Frollo, nella sua stanza, ha la finestra aperta sulla cattedrale e sul tavolo dei libri stampati. Guardando il profilo della cattedrale indica malinconicamente il libro sul tavolo ed esclama “questo distruggerà quella”, anticipando inconsapevolmente il processo di radicale dissoluzione che la stampa avrebbe prodotto sulla cultura delle cattedrali. Quando Gutenberg stampò la prima Bibbia, introdusse una tecnologia che cambiò il senso stesso della scrittura, la comunicazione e le forme di trasmissione del sapere del suo tempo, né più né meno di quanto stia facendo oggi internet. Di più, per Platone persino l'alfabeto era una tecnologia (almeno nel senso che i Greci davano alla parola techne), e quell'“invenzione” segnò il passaggio dalla tradizione orale a quella scritta. Oggi chi si interessa del rapporto tra nuovi media e scrittura sa che l'introduzione dell'ipertesto e della multimedialità modificherà, ad esempio, le strutture classiche di un racconto (le divisioni in capitoli e paragrafi, indici per noi così normali, non è detto che ci siano domani... esattamente come non c'erano prima di Gutenberg). Senza parlare poi dei linguaggi e della loro evoluzione.
La cultura delle cattedrali (ancora orale nonostante l’esistenza della scrittura) fu, se non uccisa, almeno fortemente ridimensionata dalla cultura del libro che sarà a sua volta probabilmente uccisa da quella dei nuovi media. Per secoli la trasmissione del sapere nella nostra civiltà è stata affidata al libro (strumento ergonomico e simbolico ancora oggi), ma non è detto che esso rimarrà lo strumento di trasmissione delle conoscenza. La proporzione di questo impatto ancora non è possibile da definire, e la velocità dell’innovazione tecnologica si accompagna ad una maggiore lentezza dei cambiamenti culturali. Più probabile che il libro si manterrà per molto tempo a fianco alle nuove forme di trasmissione del sapere.


Dai mezzi tradizionali a quelli moderni. Veniamo a un fenomeno contemporaneo che sta assumendo dimensioni interessanti anche in Italia. Mi riferisco al blog e al suo impiego come strumento alternativo di informazione, in grado, a volte, di pubblicare notizie degne del più efficace giornalismo d’inchiesta, specie in America.

Nel 2006 Technocrati ha monitorato quasi 60.000.000 di blogger nel mondo con un incremento annuale del 100% costante da almeno 3 anni. E’ un fenomeno che supera le considerazioni di tipo strettamente tecnologico per diventare un processo di vera e propria trasformazione culturale con pochi precedenti. L’elemento che caratterizza il blog è la sua orizzontalità, strumento che rovescia le gerarchie normali nei settori cui si rivolge: mondo dei media, editoria, industria, sociale. Il blog consente ad ognuno di essere autore di pensiero critico e creativo, e di farne circolare i contenuti. Ma il fenomeno diviene più complesso in quanto il valore del blog non è dato dalla sua individualità, ma dalla capacità di inserirsi in una rete e divenire parte di network sociali. Il blog rappresenta il risultato più evidente dello sviluppo dell’Ambient Intelligence, l’ambiente più avanzato della società dell’informazione, un ambiente che è in realtà l’insieme di luoghi dove è possibile accedere alla molteplicità di informazioni che viaggiano in rete e che consentono poi all’utente l’elaborazione. Il blog (e le sue varianti multimediali come videoblog e podcast) rappresenta con maggiore evidenza il passaggio dai mass-media ai personal-media. Da una struttura incentrata su broadcaster, centro del processo comunicativo, e l’utente generalista, passivo ricettore del flusso, si passa ad una struttura più complessa dove si integrano movimenti di ritorno e di comunicazione orizzontale tra utenti stessi che diventano produttori di flussi informativi e di comunicazione.
Nel campo delle news questo fenomeno si somma all’espansione dell’informazione on line. Già oggi, in Italia oltre il 10% delle persone utilizza costantemente internet per accedere alle news. Negli Usa, in occasione delle ultime elezioni di Mid Term, un sondaggio realizzato da Associated Press e Aol ha evidenziato che circa il 25% delle persone usava internet per informazioni politiche. I grandi giornali e i grandi gruppi editoriali sono ormai tutti on line con formule e versioni che non sono più la semplice riproduzione del giornale cartaceo in versione elettronica, ma vere e proprie testate con contenuti multimediali come l'edizione di brevi videogiornali quotidiani su argomenti specifici. Il New York Times oggi ha più abbonati on line che abbonati del giornale cartaceo, tanto che il suo direttore, in una recente intervista al quotidiano israeliano Haaretz (intervista che ha scatenato ripercussioni nel dibattito sul futuro dei giornali), ha dichiarato la possibilità di un chiusura della storica testata e del mantenimento dell’edizione internet. Crescono fenomeni di “informazione fai da te” (blog, videoblog, podcast, siti di controinformazione) che eliminano addirittura i mediatori o, in alcuni casi, si pongono in conflitto con essi. La diffusione dei media digitali e la loro facilità di utilizzo sviluppano una figura nuova ed inedita: quella del citizen journalist.


Quello che dici ci porta dritti a un problema centrale: il web dilata e amplifica ogni messaggio. In pochi secondi una notizia fa il giro del mondo in un sistema in cui ognuno può dire la sua. È un fenomeno di libertà e di democrazia allargata? Oppure “troppa informazione” è uguale  a “zero informazione”? 

Il rischio c’è. Mantenere un equilibrio tra l’eccesso di informazione e la scarsità è ovviamente difficile. La circolazione dell’informazione è la misura della libertà di una società. Non è un caso che ancora oggi regimi totalitari e integralisti (Cina, Cuba, paesi islamici) puntino a limitare la libertà dei blogger. E’ pur vero che un eccesso di informazione produce un effetto di saturazione che può provocare un rigetto rispetto alla veridicità della notizia. In fondo esiste un rischio di “relativismo” culturale non solo nei valori, ma anche nell’informazione: se tutto è uguale a tutto, nulla ha più valore. In parte il problema è risolto da un filtro automatico che la comunità web è in grado di porre. Community, chat, forum e dibattiti online rappresentano una forma di filtro e di smascheramento. In parte "l’informazione fai da te" mira prevalentemente a smascherare gli errori dell’informazione mediata prodotta dal giornalismo professionale. Ma il problema non è risolvibile perchè la rete, per sua natura, non ha autorità. Il “mondo piatto” fotografato da Thomas Friedman in un suo recente libro è, in fondo, esattamente questo. D’altro canto, l’uso sempre più diretto che si fa della rete e della blogosfera, come luogo di circolazione di idee e consensi, sposta il problema di una verità oggettiva (che poi il giornalismo tradizionale non ha mai avuto) sul piano geopolitico del controllo dell’informazione. E’ un problema drammaticamente aperto.

Dato che abbiamo parlato finora della stampa, ti chiedo - per concludere - una piccola riflessione sulla televisione. Come cambia l'uso del mezzo nella sfida delle nuove tecnologie? 

La rivoluzione tecnologica, attraverso l’innovazione e la convergenza, sta cambiando anche il modello televisivo. La televisione generalista, che è alla base del modello broadcaster, tenderà inesorabilmente a esaurirsi (seppur nel tempo) e non solo con il passaggio al digitale che comporterà un aumento e una differenziazione dell’offerta televisiva. Il mutamento interesserà anche le nuove piattaforme televisive, dove si inseriranno nuovi modelli di fruizione. La tv su internet o su supporto mobile sarà guardata in luoghi, tempi e modalità diversi da quelli con cui guardiamo oggi la tv generalista. Cambieranno modelli di mercato, ma soprattutto dovranno cambiare linguaggi e contenuti, perché la televisione sulle nuove piattaforme non potrà essere semplicemente la traslazione di contenuti vecchi, magari riadattati. Il problema è che oggi i nuovi linguaggi sono tutti da inventare. Google ha acquistato per oltre 1,5 miliardi di dollari il sito di You Tube a dimostrazione di come vi sia la convinzione che la nuova televisione si muoverà anche su altre piattaforme e con contenuti completamenti diversi. Recentemente Bill Gates ha dichiarato che “fra 5 anni, la gente riderà a pensare alla televisione così come è oggi”. Forse non saranno 5 anni, ma è indubbio che lo scatolone magico che domina i nostri salotti e che accompagna molte delle nostre serate dovrà essere ripensato e soprattutto aperto ai nuovi contenuti e a nuove piattaforme. La tv del futuro sarà interattiva, partecipata, in grado di consentire allo spettatore di crearsi il proprio palinsesto. La Rai ha già scommesso molto sul Web con risultati eccellenti in questi ultimi due anni, acquisendo importanti risultati su internet e sulle sperimentazioni di webtv sul suo portale (Rai.it) e le prime sperimentazioni su piattaforme mobili. La scommessa sarà quella di come conciliare la funzione del servizio pubblico con i contenuti delle nuove piattaforme. Una scommessa importante.