torna alla homepage

Numero 3



Feed RSS

Archivio

                                                                                                     stampa questa pagina [versione printer friendly]

Il crepuscolo dei freak


 




La condizione dell’artista nel mondo attraverso l’analisi dell’opera di Tim Burton, autore di pellicole popolate da personaggi sempre in bilico tra creatività e malinconia. Da Edward Mani di Forbice a Jack Skeleton, gettando uno sguardo sulla produzione letteraria del regista americano. Il mito del “diverso” e il conflitto con un mondo che emargina il non conforme.
di Kusanagi

Ho dentro me
che cosa non so,
un vuoto che
non capirò,
Lontano da
quel mondo che ho,
c'è un sogno che
spiegarmi non so,…

Quel che da sempre affascina lo spettatore, nelle creazioni di Tim Burton, che siano fumetti oppure film, sia d'animazione sia con attori veri e propri, è quella sua peculiare capacità di mescolare dolcezza e tristezza, di avvolgere in una luce oscura e crepuscolare le situazioni più romantiche, sottolineando così il legame intrinseco tra la felicità e quel senso di malinconia che di quando in quando attraversa le anime più sensibili, quelle in grado di percepire, anche di fronte alla gioia e alla felicità, la fugacità del momento e la transitorietà dell'esistenza stessa.

Tanto più quando il proprio talento è fonte sia di creazione che di distruzione, come nel caso di Edward mani di forbice, oppure è fonte di paura ed orrore, come nel caso di Jack Skeleton, re delle zucche di Nightmare Before Christmas, racconti in cui l'inevitabile sorte dell'artista è quella di sentirsi inadeguato al mondo e isolato dal resto degli uomini.

Il mondo visto attraverso gli occhi di questi personaggi, e quindi attraverso quelli di Burton, loro creatore, è un paese dei balocchi strano e deforme, allegro e triste insieme, perché alla gioia di vivere e al desiderio di esser amati e accettati dagli altri si accompagna costantemente un profondo senso di disagio, una sottile sensazione di straniamento, di non appartenenza a un mondo che viene visto come distante e persino ostile, estraneo alla dimensione di sogno e di illusione in cui alberga il loro cuore.

Persi in un vortice e trascinati nel mondo reale, o meglio in quel mondo che per altri è realtà ma per loro è fatto di superfici e colori estranei alla loro dimensione creativa ed esistenziale, non possono che ritrovarsi inadatti, inappropriati ed esclusi.

Questo li spinge, più delle persone che hanno intorno, a cercare la ragione del vuoto insinuante, e a volte opprimente, che trova spazio nelle pieghe del vivere quotidiano, quella indefinibile sensazione di malessere che ci coglie quando ripiegati su noi stessi, volgiamo lo sguardo nell'abisso dei pensieri perduti e delle domande irrisolte.

Edward Mani di Forbice (Edward Scissorhands, 1989) è stato realizzato da Burton dopo il successo planetario di Batman dell'anno precedente, in cui il regista ha reinventato il mito del cavaliere nero, incorporando in una pellicola mainstream la sua personalissima poetica dei freak, personaggi mostruosi ma con un'anima, destinati a vivere al margine della società per la loro diversità, indipendentemente dal fatto che si tratti di eroi o assassini, pazzi o artisti.

Nella pellicola si narrano le vicende di una bizzarra creatura, forgiata da una strana e dolce versione di “mad doctor”, interpretato da Vincent Price, (attore feticcio e fonte d'ispirazione per Burton, che non a caso lo volle come voce narrante anche nel suo primo cortometraggio d'animazione intitolato, appunto, Vincent) che muore prematuramente, prima di poter portare a termine il suo capolavoro, lasciando così il povero Edward con delle lunghe e affilate cesoie al posto delle mani.

Vissuto a lungo in completa solitudine in un castello cupo e desolato, muto custode nonché eccezionale giardiniere, capace di trasformare in sculture viventi siepi ed alberi, viene scoperto quasi per caso e portato suo malgrado in un piccolo e tipico sobborgo della periferia americana di apparente perfezione, tutto casette colorate e giardini rasati.

Qui entra per la prima volta in contatto con persone reali, e proprio la sua “stranezza” esteriore e la sua peculiarità viene accolto dalla comunità come una ventata di novità, come un diversivo alla noiosa routine quotidiana.

E ben presto Edward si rivela una sorta di beniamino per le persone del luogo anche grazie alle sue notevoli abilità di acconciatore per signora, che il suo estro personale unito alle sue singolari appendici gli permettono.

Ma come spesso succede, le persone si stancano presto delle novità, e finiscono per mostrare a loro volta il loro lato più “mostruoso”, ben nascosto però da una rassicurante superficie di apparente normalità.

A farne le spese è proprio il povero Edward, con la sua esteriore diversità, che nel momento in cui comincia a manifestare una propria vita interiore, e dei sentimenti d'amore, viene condannato senza appello al ruolo che la sua “mostruosità” comporta, ovvero a quello di minaccia per la società, e per questo decide di rifugiarsi in un'esilio volontario, lontano dagli occhi di chi non ha saputo guardare oltre la mera apparenza.

C'è quindi, nella triste parabola di Edward e nel suo vano tentativo di trovare un posto nel mondo, tutto il conflitto dell'artista, intrappolato tra il desiderio di far conoscere la propria anima attraverso le proprie opere e l'inutile sforzo di nascondere dagli occhi del mondo la propria “mostruosità”, quella creatività che lo rende al contempo speciale e diverso dagli altri, che insieme attrae e spaventa coloro che gli stanno intorno, incapaci di andare oltre la superficialità dello sguardo e di giungere all'anima dell'artista.

Infatti ciò che più distingue la personalità creativa è proprio quella sua capacità di vedere oltre l'apparenza delle cose, fino a plasmare la realtà, al punto da riuscire a trasformare un blocco di marmo in un delicato intreccio di corpi, un'insieme di segni su uno spartito in un'armoniosa melodia, una tela imbrattata di colori in una poesia d'immagini, o delle semplici parole in versi ispirati.

Ma proprio la consapevolezza della diversità rende naturalmente schivo e introverso l'artista che, come l'Albatross di Baudelaire si sente limitato nei movimenti, e goffo tra gli altri esseri umani, in un luogo che non gli appartiene come la realtà, abituato ad una dimensione personale in cui sentirsi a proprio agio, lontano dagli sguardi del mondo, spesso troppo crudeli, e avidi nel loro desiderio di comprendere e spiegare ciò che spesso spiegazione non ha, perché moto dell'anima, gesto spontaneo senza finalità alcuna se non semplicemente esistere.

In Nightmare Before Christmas (idem, 1995) diretto da Henry Selick, ma basato su personaggi nati dalla fertile fantasia di Burton, e considerato da molti uno dei suoi capolavori, si narra invece la singolare storia di Jack Skeleton, Re del Paese di Halloween che, dopo aver organizzato l'ennesima e riuscita festa della notte di Ognissanti, si ritrova insoddisfatto e svuotato, malgrado il plauso generale a lui tributato dagli abitanti del suo bizzarro mondo a rovescio, popolato da mostri di ogni genere.

E così che Jack, stanco della propria routine, decide quindi di esplorare il mondo al di là dei confini da lui conosciuti, e per caso finisce per ritrovarsi nel Paese del Natale.

Nessuno è solo, e poi
non c'è mai tristezza qui,
e brilla ogni finestra
Oh non so che cosa sia
quel piccolo calore
mai provato in vita mia,…

Affascinato dalle nuove sensazioni di quel un mondo gioioso, fatto di neve, giocattoli, dolciumi, e di sorrisi di bambini, decide perciò di rapire Babbo Natale per sostituirsi a lui nei festeggiamenti del 25 Dicembre, desideroso di provare almeno per una volta la sensazione per lui nuova di portare gioia nel cuore del prossimo, invece delle solite urla e dei soliti spaventi.
Decide così di provare a cambiare se stesso, e insieme tutto il mondo in cui è destinato a vivere, ignaro delle nefaste conseguenze a cui sta andando incontro, e della propria incapacità di creare qualcosa di diverso da quello per cui è nato.

 Cosa ho fatto,
cosa ho fatto
mi sbagliai…
cieco fui.
Tutto va, fugge via,
e il perché, non lo so…

Ma come in tutte le favole che si rispettino, anche quelle bizzarre di Burton, ogni cosa nel finale si ricompone, e il nostro improbabile e tenero eroe, appresa a sue spese la lezione morale della propria disavventura, finisce per riconoscere il proprio ruolo nel mondo e, riscoperto a pieno il valore delle proprie capacità, troverà infine anche la comprensione e l'amore di un'anima gemella, con cui condividere quelle che sono le passeggere inquietudini dell'esistenza.
Il viaggio intrapreso dal protagonista di Nightmare Before Christmas nasce proprio da quel senso d'incompiutezza che ci coglie nei momenti della vita in cui, malgrado il nostro ruolo sia chiaro e ben definito, e malgrado la nostra apparente felicità, ci sentiamo comunque in qualche modo incompleti e inadatti.

Tale sensazione di vuoto può esser colmata solo esplorando i confini del nostro mondo, quello interiore come quello esteriore, e in questo senso la fuga metaforica e insieme reale di Jack Skeleton finisce per rappresentare al contempo una fuga da se stessi e una ridefinizione dei propri confini, delle proprie capacità e conoscenze.

Perchè è proprio tracciando nuove rotte sulla spinta di un'intima insoddisfazione, spirituale piuttosto che materiale, e percorrendo sentieri nuovi, a volte anche fuorvianti, che possiamo giungere a conoscerci fino in fondo, a comprendere quel che siamo veramente.
Solo così saremo in grado di esprimere a pieno noi stessi attraverso l'opera d'arte, e dare libero sfogo alle sensazioni che sentiamo così intimamente nostre, che definiscono ciò che siamo, senza se e senza ma, al di là della percezione che il mondo ha di noi.

Esiste poi una categoria più inquietante di personaggi, usciti dalla penna di Burton, meno conciliati con il mondo, e destinati perciò a una fine tragica, seppure in qualche modo sempre un po' grottesca, che ci spingono a riflettere sul lato più amaro della malinconia dell'artista, inerme di fronte all'impossibilità per certe creature di esistere in un mondo non in grado di comprenderle.

Questi ultimi, oltre che da personaggi cinematografici, come ad esempio il Pinguino, magistralmente interpretato da Danny de Vito in Batman - il RitornoBatman Returns, 1992), sono ben rappresentati a nostro avviso dalla galleria di tragicomici freak che popolano le pagine di The Melancholy Death of Oyster Boy, raccolta di filastrocche pubblicata da Burton nel 1997, i cui protagonisti sono segnati dal destino per la loro stessa natura deforme e bizzarra.

 But she knows she has a curse on her
A curse she cannot win,
For if someone gets
Too close to her

The pins stick farther in

Personaggi come la Voodoo Girl (la ragazza Voodoo) pupazzo di pezza dal cuore come un punta-spilli, destinata a soffrire ogni volta che qualcuno le si avvicina troppo; o come Stick Boy, il ragazzo stecchino, che muore bruciato per la sventura di essersi innamorato di una ragazza fiammifero.
O come Stain Boy, il ragazzo macchia, improbabile supereroe, protagonista anche di una serie di cartoni animati pubblicata da Burton su internet, che non può fare a meno di macchiare tutto quello che incontra.
Anch'essi, seppur nella loro parziale compiutezza, contribuiscono a nostro avviso a comporre quell'eccentrico collage che è l'opera di Burton, uno degli artisti più bizzarri e singolari del panorama cinematografico attuale, ma anche poetici e ispirati, capace di utilizzare diversi linguaggi pur di riuscire a render reali i propri sogni e i propri incubi, e condividerli con il mondo intero, o per lo meno con le persone capaci di ascoltarlo.

Filmografia essenziale:

Batman (1989), Edward Mani di Forbice (1990), Batman Il Ritorno, (1992), Ed Wood (1995), Il Mistero di Sleepy Hollow (1999) Big Fish (2003), La Sposa Cadavere (2005). 

Bibliografia: The Melancholy Death of Oyster Boy and other stories (1997), Burton on Burton (2006).