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Numero 3



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L'esilio e il Vulcano






Il mito di Efesto è denso di simboli e di suggestioni che raccontano la storia di una menomazione e di un riscatto.  Il dio claudicante, scagliato dall'Olimpo sulla terra, divenne il fabbro in grado di costruire armi e gioielli usando il fuoco per plasmare i metalli... 
di Alina Padawan


C’era un tempo lontano, in cui gli dèi ancora popolavano le storie degli uomini. Era un tempo fatto di silenzi notturni e di stupori davanti a quell’immensa volta disegnata da puntini luminosi in cui ogni stella era un dio. Un dio che si accendeva e tracciava la strada verso la sommità senza fine.

La schiera degli dèi abitava l’Olimpo, e da lì governava le gesta degli uomini. Amandoli, proteggendoli, a volte combattendoli.

Bellissimi, volubili, amabili e allo stesso minacciosi (perché ognuno dotato di una doppia valenza, costruttrice e distruttrice, infera e celeste), gli dèi incarnavano con i loro volti e le loro vicende quelle “maschere di Dio”, per dirla con Campbell, che accompagnavano il susseguirsi dell’alba sulla Terra.

C’erano dèi meno accoglienti, meno simpatici, come il bellicoso Ares-Marte oppure Chronos-Saturno. E c’erano dèi più amabili, come Afrodite-Venere oppure Apollo.

Su tutti regnava Zeus (il Giove romano). Se sorvegliare il destino di uomini e dèi era il suo compito, Zeus non si sottraeva certo all’amore: le leggende narrano delle sue metamorfosi durante le quali, assumendo sembianze animali, fecondava giovani donne dando vita a una stirpe semi-divina.

Sua moglie, Era, assisteva – gelosa – alle gesta del coniuge scuotendo l’Olimpo con le sue ire.

Fra i loro numerosi figli ce n’era uno che possedeva una connotazione particolare. Era zoppo.

Un dio zoppo può sembrare un’anomalia nella perfezione divina.

Sulle origini di questa menomazione i mitografi hanno disegnato più di un’ipotesi.

I versi dell’Iliade raccontano di un litigio fra Era e Zeus riguardo a Eracle. Efesto interviene in difesa di sua madre provocando l’ira di Zeus, che afferra il figlio per un piede e lo scaglia giù dall’Olimpo.

Efesto rotola giù, sulla terra. Finisce nell’isola di Lemno.

È stanco, esausto, provato. Gli abitanti del luogo lo soccorrono, si prendono cura di lui, lo rianimano.

Ma resta zoppo per sempre.

In un’altra versione Efesto è invece zoppo fin dalla nascita. Era, che si vergogna della condizione del figlio, decide di nasconderlo agli altri dèi. Così lo lancia giù dall’Olimpo.

Caddi scagliato da mia madre, faccia di cagna, che voleva nascondermi perché ero zoppo; avrei molto sofferto se non mi avessero accolto nel seno del mare Teti ed Eurimone (Iliade)

Dunque Efesto in qualche modo è obbligato a vivere sulla terra, all’ombra dell’Olimpo nel quale il padre e la madre continuano a presiedere i consessi degli dèi.

E tuttavia da questo esilio, da questa ferita del “disamore” trae la sua forza.

Efesto diventa infatti impara a lavorare i metalli (c’è anche un chiaro riferimento alchemico). È il signore del vulcano, l’archetipo che darà vita alla figura dei nani che, guarda caso, sono anch’essi deformi, grotteschi, ma che allo stesso tempo custodiscono i segreti delle pietre preziose celate nelle profondità della Terra che sanno lavorare con agio.

È lì, all’interno di un vulcano, lontano dal sole e dall’azzurro del cielo (eppure vicinissimo al Sole interiore, occulto, nascosto all’interno della “pietra grezza”, della “terra da lavorare”), che Efesto fabbrica le armi per gli uomini e gli dèi.

Costruisce lo scettro di Agamennone, la corazza di Eracle, il famoso scudo di Achille, che con i suoi cinque strati ferma l’asta di Enea.

Padrone dell’elemento igneo,  Efesto è il simbolo dell’alchimista che batte i metalli per trasformarli.

O Hefesto, dal cuore possente, dall’animo forte / infaticabile fuoco / dai raggi lampeggianti, o demone splendente / lucifero dalle mani robuste, immortale artigiano, / lavoratore, parte del mondo, integerrimo elemento / il più alto di tutti, che ogni cosa divori e domi e ogni cosa consumi (Inni Orfici)

Da una menomazione, da un malinconico esilio,  nasce il contatto con il fervore creativo.

Eccolo, affaticato, curvo sulle fiamme, intento a fabbricare gioielli, spille dorate, serrature, armi…

Da lì, dalla terra sulla quale è stato scagliato, sfida gli dèi.

A lui loro si devono rivolgere se vogliono armi vincenti per i loro protetti.

L’andatura sbilenca e  le fattezze disarmoniche (mostro ansimante e zoppicante le cui gracili gambe si agitano sotto di lui, così lo descrive Omero) sono il prezzo con cui ha pagato il sapere.

Perché la conoscenza ha sempre un prezzo da pagare. Ce lo raccontano, da sempre,  i miti, le fiabe e leggende di tutti i popoli. 

 

Non è sempre “gentile”, Efesto. 
Anche lui, come gli altri dèi, ha una doppia natura. Per di più unisce la sapienza celeste alla conoscenza della materia e dei suoi enigmi nascosti.

A volte si diverte, si vendica. Come quando per vendicarsi di lei intrappola Era, sua madre, in un trono d’oro che ha costruito.

O come quando lega insieme Afrodite, sua moglie, colta in flagrante nel letto domestico  insieme al suo amante Ares (grazie a una “soffiata” del Sole che tutto vede). Efesto chiama a raccolta tutti gli dèi che, alla vista degli amanti immobilizzati, scoppiano a ridere. Sulla valenza simbolica di questo passaggio dibattono alcuni studiosi che vedono, in questo gesto, un’allusione simbolica all’unione di Afrodite e Marte che, imprigionata nell'abbraccio d'amore, richiede la partecipazione e il plauso di tutte le divinità.

 

Comunque sia, Efesto rimane un personaggio affascinante.

La sua caduta stimola la sfida, il riscatto, la partecipazione creativa alla vita. Efesto lavora da solo, sulla terra, mentre gli altri dèi continuano ad abitare le altezze dell’Olimpo. Ma ha vinto. Ha compiuto il suo destino.

Se il corpo è deforme, la sua mente si è invece raffinata, è diventata sapiente. Non è solo un fabbro, Efesto.

È anche capace di concepire nuove forme, di dare vita all’invenzione. Non solo esecutore, ma creatore.

È così, forse, che ancora oggi il suo mito continua ad affascinare chi ci si imbatte.

Perché la sua mutilazione assomiglia tanto alle nostre.

Nel suo desiderio di casa, nella sua nostalgia per le altitudini smarrite per sempre leggiamo forse un po’ di noi stessi.

Efesto reagisce al dolore, all’abbandono. E trova il modo, il suo modo, per tornare a casa.

Ognuno di noi, dalla sua personalissima malinconia, può ricavare la scintilla della creazione.